sabato 16 febbraio 2008

La Libertà non ha prezzo. 5 Capitolo, il diario di Ernesto.



25 febbraio 1944. Stalag 307 - Deblin-Irena.

Oggi è venuto nella nostra baracca padre Vincenzo, un cappellano degli alpini che è stato preso prigioniero a Fiume, come me. Ci ha portato un pezzo di carta sul quale aveva scritto una preghiera. La preghiera del prigioniero. L'ho trascritta subito su questo quadernetto e poi l'abbiamo recitata tutti assieme, in piedi al centro della baracca vicino al bidone che funge da stufa. Fuori ci saranno forse una diecina di gradi sottozero, tutto è bianco e silenzio...

Preghiera del prigioniero.

O Vergine Santissima, madre di Cristo e pietosa madre di tutti gli uomini, ascolta la preghiera che noi tuoi figli da questa terra di prigionia, con vivissima fede, innalziamo a Te.

Quanto soffriamo di angustie, di umiliazioni, di pene, Tu sai che noi lo offriamo ogni sera, preghiera sanguinante al Tuo altare, dicendo di trasformare la nostra sofferenza in espiazione di tutto il nostro male, in preghiera per il nostro più presto ritorno tra i cari lontani e in contributo per la salvezza della famiglia e della Patria nostra.

Vedi anche, o Vergine Santissima, i volti rigati di lagrime di tante mamme, di tante spose, di tanti bimbi che a Te fiduciosi guardano raccolti intorno ai tuoi mille venerati altari d'italia e fa che per tanta fede, per tante preghiere, per tanti sacrifici si stabilisca nel mondo la tranquillità della Pace fissa nella Giustizia e nella Carità. Per Tua intercessione, a madre di Cristo, ci ascolti il Padre che è nei cieli e vive e regna col Figliuolo Tuo nell'unità ella Spirito Santo e così sia.

Imprimatur: in stalag 307, Deblin-Irena.

Alla fine ho aggiunto la mia personale preghiera:

"O S. Rita, mia invitta Protettrice, siate sempre al mio fianco, in pace e in guerra, benedite i miei cari lontani, e siatemi propizia specialmente nel punto estremo della mia morte. Così sia.

S. Rita, io ripongo le mie sorti nelle vostre mani benedette."

Alla fine della preghiera collettiva eravamo tutti commossi, occhi lucidi a guardare lontano, fuori dalla misera finestrella della baracca. Finiranno mai le nostre pene? Sono mesi ormai che siamo in queste condizioni. Le notizie sono scarse e a volte non sembrano per niente buone.

Sono però riuscito a sapere da un conoscente comune che Sergio forse si è salvato dalla prigionia, ma è rimasto a combattere con i fascisti della Repubblica di Salò con il Duce.

Non so cosa pensare, ma penso che se ha preso questa decisione le circostanze saranno state tali da non fargli avere un parere diverso. Una cosa è certa noi tutti, che siamo qui rinchiusi ,abbiamo compreso in poco tempo cosa è il fascismo e il nazismo. Le follie di Hitler e forse ancor di più quelle di Mussolini hanno portato noi e il nostro amato Paese alla rovina. Ora che siamo rinchiusi abbiamo capito cosa vuol dire perdere la libertà senza meritarlo e abbiamo visto di cosa è capace la cattiveria umana. Non so cosa potrà ancora succedere, ma io mi auguro che questa guerra non la vincano i tedeschi, sarebbe la fine della civiltà e dei diritti umani.

Non ho la forza e il coraggio di scrivere tutto quello che sta succedendo, che ci sta succedendo, ma giuro che se torno a casa, cercherò di raccontare la nostra tragedia perchè la memoria non deve essere persa.

Ho anche paura che mi trovino questo "diario". Ogni volta che ci chiamano per l'appello e qualcuno dei kapò va a perquisire le baracche, tremiamo dal terrore che scoprano qualcosa che non gli va a genio. Un tavolaccio spostato o un asse del pavimento fuori posto può dar luogo a qualsiasi violenza. Siamo nelle mani di vere belve, alcune guardie sono reduci dal fronte russo dove stanno subendo gravi perdite e per questo hanno sete di vendetta.


5 commenti:

Nikita ha detto...

Mara era rimasta a scuola un pò più del solito. Voleva correggere i compiti dei bambini di quinta che a giugno avrebbero fatto gli esami di licenza elementare. Ora che gli alleati avevano liberato il sud Italia, la parola futuro cominciava ad avare un senso e la speranza si faceva largo negli animi delle persone. Camminava lenta, nelle ombre allungate delle case, mentre il tramonto incendiava i campi di grano ancora verde e gli ulivi alzavano i rami al cielo come un preghiera silenziosa.
"Ernesto!" disse fra se, mentre stringeva i libri al petto e lo sguardo si perdeva nel tramonto. In quella confusa giornata si era quasi dimenticata di lui.
A pochi metri da dove abitava vide Luigina, la sua padrona di casa e lontana parente, aspettarla sulla soglia con una lettera in mano. Luigina era analfabeta e Mara leggeva per lei le lettere che arrivavano da qualcuno dei suoi quattro figli al fronte, ma questa volta c'era qualcosa di diverso. Mara non capiva bene cosa, ma sentiva, a pelle,che quella lettera...Non fece a tempo a finire il pensiero, Luigina le venne incontro e le diede la lettera accompagnadola da poche parole "E' per te" disse. La lettera aveva viaggiato molto, c'erano parecchi indirizzi cacellati e riscritti. Riconobbe la scrittura dell'ultima mano che aveva scritto il suo nome. Era la calligrafia incerta di sua madre, alla quale lei stessa aveva insegnato a scrivere. Doveva averle inoltrato quella lettera di noscosto da suo padre, che certamente non l'avrebbe mai permesso dopo la sua burrascosa partenza.
Il primo indirizzo, era scritto a matita e riconobbe subito di chi era. Enesto. Le mani diventarono di ghiccio e il sangue sembrava non scorrere più nelle vene. Alzò gli occhi e vide lo sguardo interrogativo di Luigina. Istintivamente, senza pensare, ma sentendosi colpevole come un bimbo scoperto dopo una monellata, le disse che era di suo fratello che si trovava al fronte. Luigina disse qulcosa che Mara non capì, perchè era già assorta nei suoi pensieri. Continuò a camminare oltre la casa, con la lettera in mano. La busta era ingiallita, stropicciata. doveva essere stata piegata e ripiegata più volte. In alcuni punti si vedevano anche piccole macchie scure. Portò la lattera alla bocca e sentì, forte, l'odore di disinfettante. Il cuole iniziò a battere all'impazzata. Girò la busta. La aprì. Le gambe non reggevano e si sedette per terra, sotto un ulivo saraceno di forse cent'anni. La busta conteneva un piccolo foglio strappato da un quaderno,la scrittura precisa e regolare non aveva bisogno di firma. La conosceva bene: era di Ernesto. La data della lettera risaliva a qualche mese prima.
"Cara Mara, amore mio, ti scrivo ora queste poche righe perchè poi non so quando potrò farlo nuovamente...." Mara stava leggendo quando si sentì chiamare per nome. "Mara! Mara!" Era Pietro, il fornaio che la stava raggiungendo in bicicletta...


Nikita

rob ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
rob ha detto...

Complimenti...
si capisce che la storia di Mara, Ernesto, Sergio, forse la conosci meglio di me...
Come hai fatto a indovinare che Mara era una maestra ???
Forse dovremmo scriverla insieme questa storia!!!
Grazie

Nikita ha detto...

grazie a te per avermi permesso di scrivere un pezzetto di storia...vediamo ceh succedde ai nostri personaggi strada facendo...

Nikita

ciccia ha detto...

Forse scrivo a sproposito ma mio padre é stato prigioniero nello stalag 307 a Deblin, ed oggi rimettendo in ordine delle carte ho trovato una cartolina inviategli dai miei nonni e la cartolina di rimpatrio datata 18/07/1945. che tristezza; e che "vergogna" oggi maggio 2008, non voglio spiegarmi ma non é difficile capire di quale vergona parlo. scusate se mi sono intromessa ma stavo solo cercando su internet info sullo stalag 307