martedì 26 febbraio 2008

Sempre sul Kosovo

Sempre sull'affare Kosovo, il mio amico L, bravissimo giornalista, mi sollecita a pubblicare questi tre articoli di altrettanto bravi giornalisti, per capire meglio la situazione internazionale, la politica estera dell'Italia, della UE, degli Stati Uniti e della Russia.
Per la verità, secondo L, in questi articoli c'è l'essenza di come va il mondo oggi. Credo che non abbia tutti i torto, anzi! Lo rassicuro poi sul fatto che io non voglio che il mio blog sia finto-buonista o vero-buonista , semplicemente mi piacerebbe pensare che nel mondo ci sia sempre più spazio per coloro che vogliono la pace, la convivenza pacifica di tutte le culture ed anche la loro integrazione, senza interessi economici o di potere in genere. Ho già detto quanto sono contro le identità (la difesa delle quali ha già fatto troppo danni nel mondo) e le guerre di religione o di qualsiasi altro tipo.

Il generale Mini: «Il nuovo Stato conviene solo ai clan. Sarà un porto franco per il denaro che arriva dall'Est»
L'intervista. L'ex comandante della Nato in Kosovo: «L'Ue sbaglia. Processo troppo rapido e affidato ai peggiori»
DAL NOSTRO INVIATO PRISTINA — Generale Mini, ma alla fine a chi conviene quest'indipendenza? «Ai kosovari. Non parlo della gente comune che non ha più fiducia: alle elezioni ha votato solo il 45% e Hashim Thaci ha preso il 32. No, conviene a chi comanda: allo stesso Thaci che fa affari col petrolio, a Bexhet Pacolli che ha bisogno d'un buco dove ficcare i soldi del suo mezzo impero, a Ramush Haradinaj che è sotto processo all'Aja, ad Agim Ceku che vuole diventare il generalissimo di se stesso... Del Kosovo indipendente, a questi non gliene frega niente. Come non gliene frega ai serbi. Quel che serve ai clan, d'una parte e dell'altra, è un posto in Europa che apra nuove banche. Un porto franco per il denaro che arriva dall'Est. Montecarlo, Cipro, Madeira non son più affidabili. Ecco perché pure Belgrado ci tiene tanto. Altro che terra sacra: non entra nell'Ue, se prima non sistema i soldi da qualche parte».Fabio Mini sa di che cosa parla: nel 2002-2003, è stato il comandante della Nato in Kosovo. E non ha molta stima della nuova dirigenza di Pristina: «Da lavarsi le mani, dopo avergliela stretta. Spero che la nuova generazione se ne liberi presto. L'anima nera è un signore di cui non le dico il nome, perché se lo scrive vengono lì e la ammazzano. È il mandante di almeno 28 assassinati del partito di Rugova. Uno che, come molti dei capi Uck, non ha mai spiegato la fine d'un migliaio di rom, serbi e albanesi accusati di collaborazionismo, desaparecidos negli anni del primo dopoguerra. A Pristina, si dice che se i pesci d'un certo lago potessero parlare...».Però quest'indipendenza è stata pagata con la pulizia etnica. Con anni di apartheid sotto Belgrado. Era impossibile rinviarla ancora... «Io capisco la fretta dei kosovari. È giustificata. Pensano a se stessi. È legittimo avere uno status definito, dopo anni di prese in giro e tante promesse da Stati Uniti e Gran Bretagna. Quella che non capisco è la fretta della comunità internazionale. Questi processi non si risolvono in pochi anni. E non si affidano a chi ha partecipato allo sfascio. Ci si rende conto che ora all'Aja non testimonierà più nessuno, contro gente che comanda uno Stato? E le modifiche al quadro internazionale? La minaccia d'una proclamazione unilaterale c'è sempre stata. Questa è la quarta volta che il Kosovo la mette in pratica. Quando c'ero io e la proclamò Rugova, dovetti scrivere a mezzo mondo: attenzione, ci saranno conseguenze sul campo... Nei Balcani non sai mai quale mano arma il coltello: al primo incidente, sarà uno scarico di responsabilità. Lo sto notando con le bombe di questi giorni: le bombe non sono tipiche dei Balcani. Le hanno sempre messe personaggi venuti da fuori. Quando scoppiano, è il segnale che qualcuno sta ficcando il naso».Si teme un effetto domino. «Certo, questa proclamazione fa saltare il diritto internazionale fondato sulla sovranità degli Stati. Uno scempio voluto dagli Usa, che in questo diritto non credono e l'hanno dimostrato in Iraq. Sotto quest'aspetto, il Kosovo è l'altra faccia dell'Iraq. Se all'Onu passa il riconoscimento, dopo domattina saranno tutti autorizzati a fare lo stesso: l'Irlanda del Nord, i baschi, i ceceni, i catalani... I primi ad agitarsi sono già i serbi di Bosnia: hanno uno status di Repubblica più alto del Kosovo, possono staccarsi subito dalla federazione bosniaca. In fondo, chiedono la secessione che voleva Milosevic. Per bloccare Milosevic, però, sono morte decine di migliaia di persone. E noi ora gliela regaliamo così?».D'Alema ha detto in commissione Esteri che l'Italia riconoscerà quest'indipendenza. «Sarebbe un errore fatale, peggio di quando si riconobbe in tempi record la Croazia. Quella almeno era una Repubblica federata, non un territorio sottratto a uno Stato membro dell'Onu. Non credo che l'Italia ci cascherà: il riconoscimento non spetta ai singoli Paesi, basta l'ombrello Ue».E Putin? «Dal 1989 i russi non contavano più niente nei Balcani. E oggi non gliene frega niente del Kosovo. Però stiamo facendo loro un regalo grande: la Serbia. Buttiamo via vent'anni di lavoro. Toccasse a me, andrei a Belgrado dal presidente Tadic e lo prenderei per la collottola: concedi l'indipendenza prima che la proclamino i kosovari, ti conviene. Salvi il tuo Paese. E la comunità internazionale».
Francesco Battistini16 febbraio 2008


Nazionalismi veleno d'Europa
Barbara Spinelli - La Stampa
Nata per stemperare i nazionalismi violenti, l'Unione Europea ha compiuto in questi giorni un passo paradossale, dagli effetti forse sinistri: quasi senza rendersene conto, la maggior parte dei suoi Stati ha decretato che l'indipendenza del Kosovo era una cosa non solo ineluttabile ma buona e giusta, così come il Signore vide che erano una cosa buona la terra e il cielo appena creati.D'un colpo i principali governi europei hanno smentito la propria storia, decidendo di proteggere uno Stato che ha come palese ragion d'essere la segregazione etnica. Si sono trasformati in una forza che legittima Stati razziali, inserendoli in una Comunità che a parole li rifiuta.Dicono i fautori del riconoscimento che la mossa era ineluttabile, visto il naufragio della diplomazia. Dicono anche che non sarà vera indipendenza, e che dunque non esisterà contagio: sarà un'indipendenza sotto sorveglianza, finta. Il nuovo Stato sarà un protettorato europeo come dal '99 è stato un protettorato Onu e Nato. Ma l'Europa svela la propria inconsistenza, mostrandosi così schiava della necessità. E svela la propria pochezza, scommettendo sulla forza civilizzatrice d'un protettorato che sbarazza i kosovari di responsabilità primarie: spetterà infatti all'Europa proteggere le minoranze, non ai kosovari. Questi ultimi non devono migliorare: alla civiltà penserà l'Europa, se ci penserà. Vero è che c'è inquietudine nell'Unione, che non c'è l'entusiasmo americano di fronte all'incancrenirsi di nazionalismi nel continente. Ma l'inquietudine è appena un'increspatura sulle acque del fatalismo. L'Europa non sa la storia che fa, e sembra aver scordato che la storia è tragica.E’ una storia tragica per l'Unione come per i Balcani, cui stiamo aprendo le porte senza pensieri seri sul futuro. Per quanto concerne l'Unione si conferma la malattia gravissima in cui da anni viviamo: incapace di unirsi, abolendo i diritti di veto posseduti da ciascuno Stato, l'Europa ridiventa preda dei dèmoni. Tutta la sua politica di allargamento, ormai, è all'insegna del nazionalismo ritrovato. Ogni nuovo staterello cui si promette l'adesione avrà il suo veto, neppure addolcito dalla coscienza - viva nei paesi fondatori - dei propri storici errori e orrori.La dipendenza dagli Stati Uniti si dilata, si fa patologica rivalità mimetica. Diverremo potenza anche noi se riscopriremo lo Stato nazione e ne creeremo perfino di nuovi: questo diciamo a noi stessi, vacuamente. Con una variante però: se l'Europa fosse una federazione all'americana, sopporterebbe queste variazioni di appartenenze interne.Nelle condizioni attuali, essendo una somma di mini-sovranità, rischia la degenerazione. Rischia di fare quel che non vorrebbe: di riaccendere le identità etniche, facendosene garante e dissimulandole.Questo ritorno dei nazionalismi è tragico anche per i Balcani e gli organismi internazionali. Nel prospettare l'indipendenza sotto protettorato, i ministri degli Esteri francese e inglese, Kouchner e Miliband, dissero nel 2007 che lo status quo non poteva essere accettato, e che le aggressioni serbe non andavano dimenticate. In realtà è lo status quo che oggi si accetta, e la smemoratezza dilaga. Lo status quo delle spartizioni, delle persecuzioni delle minoranze, delle logiche belliche. La smemoratezza di quel che sembrò essere l'intervento occidentale nei Balcani: una lotta contro l'odio etnico, non per suscitare mini Stati razziali. Tutto questo nasce inoltre con le migliori intenzioni: per la liberazione dei popoli. Con 90 anni di ritardo, l'Europa vive il suo momento wilsoniano, come lo chiama lo storico indiano Erez Manela. L'autodeterminazione dei popoli, proposta dal presidente Wilson tra il 1918 e il 1919, viene riproposta da un'Europa immemore di quel che già allora si nascondeva dietro l'autodeterminazione: i protettorati, i conflitti, le ipocrisie, la violenza delle disillusioni. Anche questa volta c'è ipocrisia: i dirigenti dell'Unione sanno che l'indipendenza non funzionerà senza stampelle esterne. Che la Serbia con l'appoggio russo affamerà il Kosovo, cominciando a fargli mancare l'energia (il 45 per cento dell'elettricità kosovara viene da Belgrado). Sa che la legalità internazionale non potrà essere invocata, visto che la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, approvata nel '99, prometteva a Belgrado il rispetto dei confini esistenti.Tragica è infine l'impresa in cui l'Europa s'imbarca per lungo tempo. Senza essere ancora un'Unione, bloccata dai veti interni, l'Europa si permette la più costosa delle avventure: l'avventura dei protettorati coloniali, iniziata in Bosnia-Erzegovina e combinata con negoziati d'adesione sempre meno esigenti e sempre più tattici. Un'avventura potenzialmente sciagurata, visto che nessuno osa rompere con le pratiche del protettorato Nato-Onu. A ciò si aggiunga il dramma dei fuggitivi serbi: la più ampia popolazione di profughi in Europa. Sono 700.000 i serbi fuggiti da Bosnia e Croazia (in Croazia restano i serbi convertiti al cattolicesimo, scrive lo studioso Raju Thomas). A essi s'aggiungono 207.000 serbi e Rom del Kosovo.Il protettorato Nato-Onu è stato in realtà un disastro. Lo spiega nei dettagli un rapporto redatto nel 2007 dall'Istituto di Politica Europea di Berlino, per l'esercito tedesco: in quasi nove anni, Onu e Nato hanno consentito che nascesse uno Stato criminale, che mescola radicalismo politico, servizi deviati, razzismo, mafia. Quasi tutti i suoi dirigenti, a cominciare da Hashim Thaci (premier dal novembre 2007) hanno militato nell'Armata di liberazione del Kosovo, e sono legati alla mafia internazionale e italiana: il Kosovo è specializzato nel commercio d'armi, nel riciclaggio di denaro sporco, nel traffico di droga, di clandestini, di prostituzione. È uno Stato che tollera linciaggi antiserbi come quello del marzo 2004. Che segrega i serbi in villaggi-ghetti. Che perseguita i Rom.Ma l'Europa di queste cose non si è occupata a fondo. Si è occupata della bandiera e dello statuto della nazione: senza dare garanzie vere ai serbi, senza domandarsi cosa fosse per loro il Kosovo, considerandoli eternamente colpevoli delle colpe di Milosevic. La guerra contro quest'ultimo si giustifica ex post solo se oggi non si accettano i piccoli Milosevic kosovari. Li si accetta, invece. Qui è il paradosso: grazie all'ombrello aperto dall'Europa, il male può di nuovo insinuarsi nelle sue pieghe. Nel rapporto degli studiosi tedeschi, la comunità internazionale appare complice di questi nazionalismi violenti: «grottesco è il suo rifiuto di vedere la realtà», e insano l'ottimistico «compiacimento da incompetenti» che anima i suoi massimi rappresentanti. Le forze Kfor della Nato, le forze Unmik dell'Onu, sono implicate in grandi nefandezze mafiose.L'amministrazione Usa ha sistematicamente «preferito i politici più violenti», fin dai tempi di Clinton, e «più volte ha aiutato i criminali a fuggire». Nella base Usa in Kosovo c'è un carcere stile Guantanamo, il Campo Bondsteel (dal nome d'un comandante Usa in Vietnam).I nazionalismi sono un veleno per l'Europa: alla lunga possono renderla irriconoscibile. Ancora non esiste come Unione, ed eccola pronta a creare protettorati che col tempo secerneranno risentimenti e impunità. Sotto un protettorato o dentro l'Unione (lo si è visto in Austria, Italia, Polonia) tutto diventa possibile: i razzismi al potere, l'illegalità, e quel fenomeno sempre più diffuso cui la Banca Mondiale diede il nome di State Capture, nel 2000.La «cattura dello Stato» avviene a opera di persone o gruppi che privatizzano il potere, aggirando leggi e istituzioni. Visto che esiste l'Europa come garanzia esterna, le nazioni e i loro dirigenti possono permettersi ogni cosa: i risentimenti e la caccia al diverso, l'abitudine all'irresponsabilità e la «cattura dello Stato».
Il regista serbo Kusturica «L'America ha ucciso il Kosovo, mio mito»


Intervista di Francesco Battistini - Il Corriere della Sera
BELGRADO — «C'era una volta un Paese... », dice Ivan nel finale di Underground, quando l'isolotto si stacca e trascina tutti sul Danubio. «C'è ancora un Paese che si chiama Serbia», dice Emir Kusturica nella sua casa di Kustendorf, quell'impresa alla Fitzcarraldo che da Hollywood l'ha portato sulle Alpi Dinariche a investire due milioni e costruirsi una sua Città Ideale tutta di legno.Il Kosovo è indipendente da una settimana, anche l'ultimo pezzo della fu Jugoslavia se n'è andato e questa dissolvenza non fa dormire Emir. Dopo 53 anni, un Leone d'Oro a Venezia e due Palme d'Oro a Cannes, neanche la serata degli Oscar lo risolleva. Pristina Dream: «Giovedì ero in piazza a Belgrado. Sono salito sul palco. Ho parlato col cuore. Sono contro quest'idea che fa passare i serbi per un popolo primitivo, distruttivo ».Beh, dopo il suo discorso gli hooligan sono andati a incendiare l'ambasciata americana... «Condanno quel gesto. Ma l'incendio di un'ambasciata non è lontanamente paragonabile alla distruzione che i serbi sopportano da anni. La stessa distruzione esportata in Iraq. Voi giornalisti lo chiedevate sempre agli americani: perché non proteggete la culla della civiltà mesopotamica? Loro vi rispondevano sempre: sorry, ma questa non è la nostra civiltà. Ora, nessuno che domandi agli americani: perché non proteggete la culla della civiltà serba? Il cinismo del Pentagono vi ha contagiati tutti».Tira aria di guerra fredda. «Il problema Kosovo parla a tutti. C'entra la differenza di culture, l'accettazione d'un patrimonio diverso. Le chiese, i monasteri, i poeti sono cultura europea. Ma gli americani non rispettano la cultura che non riconoscono come propria. E dov'è l'Onu che deve battersi per le società multietniche? Nessun europeo può accettare che un mondo venga distrutto».Distruzione? Nessuno sta toccando i serbi... «Parlo d'un Paese messo nell'angolo buio del mondo. Eppure abbiamo dato il genio d'un Ivo Andric, siamo una colonna d'Europa. Non siamo l'Africa, né guerrafondai. Siamo come gli altri europei ».Però c'è un'intellettuale serba come Natasha Kandic che è per l'indipendenza di Pristina ed è minacciata di morte... «Amico mio, sono il primo a difendere il diritto di Natasha a parlare. Ma bisogna dirlo: questi non sono intellettuali. È gente pagata da Soros (il miliardario americano, ndr) ».Lei ce l'ha con l'America, ma a lei l'America ha dato molto... « Io rispetto il mito di Hollywood. Non la Hollywood di oggi, ma quella del passato sì: è un mio mito. Come lo è il Kosovo. Ad Angelina Jolie, nessuno si sogna di togliere Frank Capra. Allora nessuno uccida la mia mitologia».Farebbe un film sul Kosovo? «Se serve un videogame, lo faccio. Un film classico non è possibile. La mitologia del Kosovo è qualcosa di molto spirituale. Adesso vado in Messico a girare "Gli amici di Pancho Villa". Un'altra mitologia».E in Kosovo ci andrà? «L'ultima volta, ci sono stato cinque anni fa. A Mitrovica faticano a costruire qualcosa. Ma sanno anche loro che il mito è più importante della realtà. Il nostro cervello non si nutre solo dell'oggi. Come potreste avere un presente, voi italiani, se vi togliessero Venezia o Roma? C'è un altro mito che ci fa sperare: Davide contro Golia. Il gigante cade, più che per il sasso, per la sua presunzione».Il gigante sta scegliendo un nuovo leader... «Spero in Obama. Ho molta simpatia. Vorrei che l'America fosse guidata da uno con una concezione umanistica della storia, capace di parlare ai popoli ».Non crede che in Serbia sia mancato un esame di coscienza collettivo, come lo fecero i tedeschi dopo il nazismo? Nessuno ha mai chiesto scusa di tre guerre e migliaia di morti. «Questo non è accettabile. Possiamo parlare giorni di Milosevic e dei capitoli spregevoli della storia serba. Ma non puoi spiegare con Milosevic quel che è successo il 17 febbraio in Kosovo. Perché non tirare in ballo Tito o i turchi, allora? La tragedia del Kosovo è legata alla più grande base dei Balcani, Bondsteel, costruita laggiù dagli americani. Sui media occidentali non se ne parla mai: sempre e solo colpa di Milosevic. Non c'è intelligenza. Non fa capire perché il caso Kosovo stia diventando un modello, che so, per i baschi: anche lì si spiega tutto con Franco?».Ma la Serbia sta diventando il miglior alleato di Putin? «La migliore posizione serba è con l'Est e senza l'Est. Lo capì Tito. Putin può avere un ruolo positivo, ma non possiamo diventare una succursale russa. Perché domani a Mosca può arrivare qualcuno che se ne infischia della Serbia. Noi abbiamo bisogno d'una relazione stabile con l'Europa. Però queste cose deve chiederle a un politico».Perché, in politica non entrerebbe? «No. Sono solo un effetto collaterale. Sono il partito di Kusturica».

3 commenti:

Kniendich ha detto...

Il Kosovo è qualcosa più grande di noi, dell'Europa tutta, addirittura. Credo che l'Italia farebbe bene a seguire semplicemente la scia piuttosto che partecipare in prima persona, anche perchè abbiamo imparato che le questioni internazionali le paghiamo noi in prima persona, e non vorrei che anche questa si trasformasse in una ulteriore accisa sulla benzina...per esempio..

Anonimo ha detto...

SOLIDARIETA'AL POPOLO SERBO
Il problema del Kosovo non riguarda solo il popolo serbo, è un problema che riguarda tutta la Comunità Internazionale e che avrà ripercussioni negative per tutti negli anni futuri.
Come è stato detto dal Governo serbo, la Serbia non rinuncerà mai alla propria sovranità sul Kosovo che rappresenta il cuore, la storia, la memoria di ogni serbo e chiede il rispetto della Carta delle Nazioni Unite che garantisce la sovranità e l'integrità territoriale degli Stati indipendenti entro i loro confini internazionalmente riconosciuti.
Sovranità ulteriormente riaffermata dall'ONU con la risoluzione n.1244 del 10 giugno 1999 emessa alla fine delle ostilità contro la Jugoslavia.Risoluzione che prevedeva ampia autonomia per il Kosovo.
Storia, ragione.diritto stanno dalla parte dei Serbi e allora una domanda sorge
spontanea. Perchè si è arrivati a questo punto e a chi giova l'indipendenza del Kosovo?

rob ha detto...

Bella domanda, in parte la risposta è anche negli articoli che ho pubblicati nel post. In realtà come sempre la cosa è sempre più complicata perché anche i serbi ci hanno messo del loro nell'aumentare la tensione e la vilenza su quelle popolazioni.