domenica 3 febbraio 2008

La libertà non ha prezzo. Capitolo 4. Il diario di Ernesto (segue).


3 Febbraio 1944. Sono mesi che non scrivo più su questo mio taccuino che ho tenuto nascosto dentro i pantaloni.
Cerco di essere parsimonioso perché carta e matite non se ne vedono in giro e chi ce l'ha, le tiene ben riservate ed in conto. Inoltre, devo dire la verità, molto spesso non si ha voglia di raccontare quello che si vede.
Capisco che se qualcuno, un giorno, dovesse leggere questo mio racconto farebbe fatica a crederci, però mi rendo anche conto che non è giusto non conservare la futura memoria di quello che stiamo passando, tutti. Dai generali all'ultimo soldato. L'aver rifiutato di ritornare in Italia a servire per una fantomatica Repubblica Sociale con a capo il cavalier Benito Mussolini, ci ha messo in una condizione non certo facile. I tedeschi ora ci guardano con più disprezzo e ci sputano addosso tutto il loro livore.
Non so se uscirò vivo da questa vicenda, nessuno di noi lo sa. Molti compagni sono già morti, chi di febbre, chi di stenti e chi ucciso dai tedeschi. Sono mesi che mangiamo pochissimo, beviamo più che altro. Ogni tanto riusciamo a fare sulla stufa della baracca una minestra calda con le bucce delle patate e carote marce che riusciamo a trovare nei fossi vicino alle cucine dei campi che abbiamo "visitato". Siamo al quarto campo in cinque mesi. Ora siamo in Polonia, fa un freddo bestia e la mattina ci fanno alzare per l'appello alle sei che è ancora buio e ci saranno venti gradi sottozero. Il campo è in una cittadella fortificata sul fiume Vistola, il posto si chiama Deblin Irena ed è il forte di Ivan Gorod.
Siamo stanchi, affamati sporchi, e pieni di parassiti. Abbiamo capito che i tedeschi non ci considerano dei prigionieri di guerra, soldati e ufficiali. Ci trattano come bestie ma senza nemmeno il rispetto che si deve agli animali. Abbiamo tradito, secondo loro, e non siamo degni di nessuna considerazione. E per questo che vogliamo resistere e vogliamo farlo ad ogni costo, per dimostrare che siamo uomini. Loro trattandoci come bruti, vogliono fiaccare le nostri menti, il nostro corpo, forse questa è la punizione che vogliono infliggerci perchè si arrivi al suicidio oppure al cedimento fisico. La nostra reazione, invece, è univoca e solidale. Vogliamo conservare la nostra dignità di essere umani e di compagni. Per questo dividiamo tra noi tutto il cibo che riusciamo a trovare e ci sosteniamo anche moralmente quando qualcuno è giù. Non riusciranno a farci diventare dei bruti.
16 febbraio 1944. Oggi è stata una giornata pessima, il capitano Giulietti aveva la febbre e non riusciva ad uscire dalla baracca. Quando sono venute le guardie per vedere dove stava, l'hanno buttato giù dalla branda e lo hanno bastonato con il calcio dei fucili. Ora sanguina vistosamente, a noi sembra moribondo. Sono loro gli animali, non noi!
Quando succedono queste cose, e ne succedono, il mio pensiero va a casa. Chissà come stanno loro ora. Cci sono voci che l'Italia sia stata divisa in due, da una parte gli alleati anglo-americani, dall'altra i tedeschi. Al nord continuano i forti bombardamenti, mentre al sud forse stanno meglio. Chissà se torneremo e se torneremo, cosa troveremo? I nostri cari saranno ancora vivi? Ci confortiamo dicendoci che tutto finirà bene. La nostra prigionia non potrà durare a lungo perché i crucchi perderanno anche questa guerra, questo lo ripetiamo sempre sottovoce. Qualcuno dice che a Stalingrado stanno per arrendersi o si sono già arresi ai russi 800.000 tedeschi e forse è vero perché abbiamo sentito che vogliono riportarci in Germania per lavorare nelle fabbriche di armi. Dobbiamo resistere, forse la fine della guerra è vicina.
Mara, amore mio, ti penso sempre. Ogni sera, prima di chiudere gli occhi, ti rivedo come se fossi qui vicino a me. Siamo a primavera, nella nostra campagna odorosa e piena di fiori, siamo stesi sull'erba e tu mi tieni la mano e mi sussurri: "resisti amore mio, presto saremo assieme per tutta la vita..." e io mi addormento tra i morsi della fame e del freddo a migliaia di chilometri dalla Calabria e da te.

1 commento:

Nikita ha detto...

...ma Mara ha trovato un lavoro come maestra, in un piccolo paesino della provincia. Abita in una stanza presa in affitto e ogni mattina, mentre si reca a scuola, incontra il fornaio che consegna a domicilio il pane appena sfornato. Lui in guerra non c'è potuto andare per quel suo piccolo difetto alle dita della mano destra che l'hanno reso inabile all'uso del fucile.Così è rimasto a casa, a fare il lavoro che era di suo padre e prima ancora di suo nonno.
Mara e il fornaio si salutano cortesemente, ogni mattina. Lei trova, in quel piccolo rito quotidiano, le certezze e la sicurezza che la guerra ha minato in tutti gli italiani. Piccole cose, si dice, mentre cammina veloce verso l'edificio scolastico. Eppure, la prima mattina che non lo incontra, il suo mondo vacilla, la paura della morte, tenuta a bada dalla certezza del suo ruolo di maestra, crolla. La giornata trascorre lenta, tra le grida dei bimbi, grandi e piccoli, ai quali insegna. Ma la sua pazienza infinita con i piccoli, vacilla più di una volta e la sua mente corre veloce ai giorni precedenti, per capire se ci fosse stato un segno, qualcosa che le era sfuggito prima, che potesse in qualche modo giustificare quell'assenza. Si, forse c'era stato, forse aveva notato che la pedalata era meno decisa, il saluto meno squillante, il sorriso meno luminoso.Se solo l'avesse notato prima! Se solo gli avesse chiesto come stava!...E se?No, non poteva neppure pensarci, non voleva neppure immaginare cosa poteva essere successo. Ma il cuore le batteva troppo intensamente per non sapere,le mani correggevano troppo velocemente i compiti e le ore scorrevano lente, troppo lentamente. Mara stava capendo...perchè una donna capisce quando s'innamora, lo sa prima di chiunque altro...

Nikita ( romantica o disillusa? )