Giuseppe Simonetti, il padre di Sergio, era contento quella sera dei primi di settembre del 1943. La guerra andava male, la Sicilia era ormai completamente conquistata dagli alleati, il 28 agosto c'erano stati dei bombardamenti aerei degli alleati in Calabria e Campania e anche Cosenza aveva ricevuto la sua razione di bombe alleate. La famiglia aveva dovuto sfollare dalla loro casa cittadina. Per fortuna avevano una piccola masseria in campagna a pochi chilometri dalla città. La località si chiamava Pisicchio e non mancava di nulla, ci si poteva abitare tutto l'anno, c'erano provviste, pochi animali, ma tanti alberi da frutto, un orto ben fornito. Nonostante tutti i problemi del Paese che lo preoccupavano non poco, perché capiva che, sbarcati gli alleati in Sicilia già a luglio e conquistata tutta l'isola, presto sarebbero arrivati anche lì da loro. Quella sera,però, era contento perché Sergio era tornato in licenza per qualche giorno prima di raggiungere il suo reparto in Piemonte. Benché si fosse separato dal suo amico Ernesto che aveva cambiato reggimento, ora forse era anche più tranquillo perché a distanza di quasi tre anni dall'arruolamento, aveva acquisito la sicurezza del veterano. Sei mesi di Africa con i guastatori avevano avuto il loro effetto. Giuseppe lo considerava ormai davvero un figlio adulto e maturo tanto da potergli fare qualsiasi discorso, da uomo a uomo.
"Stasera" gli disse "viene a cena anche il maresciallo della stazione dei carabinieri di Rogliano, così ci faremo dire se è vero che dopo la Sicilia gli alleati vogliono sbarcare in Calabria. Certamente gli uomini dell'arma sono meglio informati degli amici che ho visto ieri a Cosenza."
Sergio fece spallucce, a lui ormai non importava più di avere notizie su quello che accadeva in Sicilia, sapeva solo che la licenza stava finendo e che doveva ripresentarsi al distretto di Torino fra quattro giorni, cioè l'8 settembre. Sarebbe dovuto ripartire il 7 mattina per non rischiare di arrivare in ritardo.
Aveva capito, in cuor suo, che la guerra era ormai persa, il nemico era sbarcato sul sacro suolo italiano e niente sarebbe stato più come prima. Prima di ritornare a casa, aveva sentito dire che i tedeschi, i loro alleati, non sarebbero rimasti inerti se gli italiano non avessero reagito all'invasione degli alleati nel sud e si preparavano ad invadere l'Italia con le loro divisioni corazzate, che eranno già pronte alla frontiera. Era confuso, non sapeva più cosa pensare e cosa rispondere a suo padre che ancora credeva nel fascismo e in Mussolini. Aveva timore di affrontare il discorso, perché lui per primo non sapeva che partito prendere.
Il 16 luglio, mentre era a Roma, il premier inglese Winston Churchill e il presidente americano Roosevelt avevano lanciato un comune appello agli italiani affinché decidessero “se volevano morire per Mussolini e Hitler oppure vivere per l’Italia e la civiltà”. Dopo tre giorni ci fu il primo sanginoso bombardamento di Roma. In ogni caso aveva giurato fedeltà al suo Paese ed al Re e, come ufficiale del regio esercito, avrebbe seguito le sorti dei suoi camerati. Così glissò sull'argomento e rispose la prima cosa che gli passava per la mente: "vado a fare un giro per la campagna con Mara e Paola, per raccogliere dei fichi per stasera."
Con Mara, la sua adorata sorellina i rapporti erano sempre stati idilliaci, non avevano avuto mai o quasi, degli screzi, nemmeno quelli dovuti all'età che normalmente si hanno tra fratelli e sorelle.
Mara era una ragazza molto orgogliosa e con un forte carattere, in questo aveva preso dalla mamma e come lei era una persona di un intelligenza intuitiva e pronta. Loro scherzavano spesso con i genitori e dicevano sempre che loro erano il braccio e la mente, naturalmente il padre era il braccio!
Mara gli disse subito sì quando Sergio le chiese di andare a fare una passeggiata per i campi. "prendi anche il bastone per abbassare i rami e un paio di ceste, così raccogliamo dei fichi per stasera" le disse. Era pomeriggio inoltrato, la mamma con Antonia, la cameriera, stava preparando la cena e si sentiva un profumino di frittelle di fiori di zucca che arriva soave anche nel patio, la sera si preannunciava dolce e fresca, una brezza leggera da sud aveva cominciato a spirare. Avrebbero cenato all'aperto, ancora si poteva fare e Sergio pregustava il piacere di stare assieme a tutta la sua famiglia riunita. Mancava solo Ernesto che ormai era parte della famiglia. A Mara Ernesto mancava tantissimo, ma proprio per il suo orgoglio particolare, cercava di non farlo mai vedere a nessuno. Si confidava solo con Sergio, perché sapeva di essere compresa fino in fondo da lui, ma con nessun altro l'avrebbe fatto.
Andarono in discesa verso la strada e dove c'era un capitello con una madonnina che aveva fatto mettere il padre, quando era ritornato dalla prima guerra mondiale. Lei andava spesso lì a pregare, da quando si erano trasferiti al Pisicchio, ci andava quasi sempre verso quell'ora, un po' prima del tramonto; quando la luce del giorno assumeva colori più tenui e meno eccessivi e tutto sembrava più accettabile, la lontananza, il dolore della guerra, i bombardamenti che le facevano una paura matta. Così mentre andavano ogni tanto si fermavano per raccogliere i fichi che in quel periodo erano i migliori, dolci e duri come lei. Ad un tratto lei domandò a Sergio: "Secondo te, Ernesto crede ancora nel fascismo, è ancora fascista insomma?" Così a bruciapelo e lui, che davvero non si sarebbe mai aspetta una domanda simile, rispose come in trance: "Se lo conosco un poco, Ernesto è una persona fedele alla parola data e a meno di stravolgimenti eccezionali, non verrebbe mai meno al giuramento dato."
"Ma cosa c'entra, qui sono successe cose incredibili, Mussolini è stato messo in discussione nel Granconsiglio, è stato deposto, arrestato e poi liberato dai tedeschi, non pensi che questi siano
"Sergio, apri gli occhi, non mi pare che ci vogliano aiutare, mi pare invece che vogliano occupare l'Italia, pensaci."
"Certo che ho riflettuto, anche troppo e vorrei avere le tue stesse certezze. Purtroppo, la situazione non mi sembra affatto chiara e tutti questi discorsi, ora, non mi aiutano a capire di più. Mi dispiace. So solo che fra tre giorni devo ripartire e che vorrei anche parlarne con papà, ma credo che non capirebbe."
Mara aveva toccato un nervo scoperto e capì che era arrivato il momento di cambiare argomento, allora parlò di Ernesto e disse che era arrivata una sua lettera da Fiume. Diceva che si trovava bene, aveva conosciuto una famiglia di Italiani che abitavano lì dagli anni venti. Erano emigrati veneti, brava gente che spesso lo invitavano a cena.
"Speriamo che anche lui possa tornare presto in licenza." Disse e poi si incamminarono verso casa in silenzio. Pensavano al futuro, a quello che sarebbe successo e nessuno dei due aveva il coraggio di dire più una sola parola.
La cena finì e il maresciallo dei carabinieri quando si cercava di farlo parlare della guerra cambiava discorso, era un argomento probito. Si evitava di dire cose sconvenienti e tristi.
"Don Peppì, che volete che vi dica, non so nulla, certamente ne sapete più voi con tutti gli amici che avete a Roma..."
Non disse nemmeno che il giorno prima, il 3 settembre, era stato firmato l'armistizio di Cassibile, era una notizia riservata e lui non parlò anche se sapeva che Sergio sarebbe dovuto ripartire per il suo reparto in Piemonte. Chissà per quale motivo non disse nulla. Eppure era un amico di suo padre! Mara se lo sarebbe chieduto spesso, anche dopo la guerra e per questo non poteva perdonare al maresciallo quel suo silenzio. Probabilmente non lo perdonò mai ed ogni volta che parlava dei carabinieri (per dichiarare la sua personale disistima), ricordava sempre questo episodio che aveva condizionato la vita di Sergio irrimediabilmente.
Sergio ripartì e la mattina dell'8 settembre, quando venne trasmesso per radio il discorso di Badoglio, era a Torino, nella sua caserma.
mercoledì 27 febbraio 2008
LA LIBERTA' NON HA PREZZO. Cap. 6 - L'armistizio in Calabria.
Pubblicato da rob alle 2/27/2008 07:43:00 PM
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7 commenti:
che piacere il racconto prosegue...:D
quando diventerà libro andrò a comprarlo!!
Poi quando finisci di scriverlo, ti invio le memorie di mio padre, e magari ne tiri fuori un bel racconto, povero agricoltore sardo ..chiamato alle armi, a cui venne data una divisa tre volte più grande di lui con le maniche e i pantaloni che strabordavano..era alto 1.63..venne preso prigioniero fu portato in america..etc!
rob..ma che carino mi hai votato da Baol!! grazie! un grosso smak!
Sai Rob, mio nonno era maresciallo capo dei carabinieri e alcune situazioni e atteggiamenti che narri in queste parti del racconto, mi ricordano quanto mi raccontava sia come uomo che viveva la guerra che come carabiniere che spesso aiutava persone indifese a nascondersi...
Sono contento che vi piaccia e che vi suscita dei ricordi familiari. Purtroppo non sono un bravo scrittore, ma questa storia (vera peraltro!) mi frullava in testa da alcuni anni e capirete il perché alla fine del racconto.
Grazie perché siete clementi con la mia scrittura.
P.s. Non è per civetteria che ne pubblico un capitolo ogni tanto. La scrivo così estemporaneamente e appena ho finito il capitolo lo pubblico. Mi costa fatica, credetemi.
Mara stava aiutando la madre a ripulire la cucina dopo la cena consumata in silenzio. La partenza di Sergio era stata salutata con orgoglio dal padre, ma in lei aveva alimentato l'angoscia. Nell'ultima settimana la situazione in Italia era cambiata e, se possibile, peggiorata.Convoglitedeschi avevano iniziato a transitare con più frequenza di prima anche per le strade di Pisicchio. I carri per il trasporto di munizioni e artigleria pesante erano scortati da militari armati dal grilletto facile.La tensione e la paura erano palpabili, sia nella popolazione che nei militari italiani e tedeschi. Finito di aiutare la madre, Mara accese la radio. Di lì a poco avrebbero trasmesso il suo radiodramma preferito "La guerra dei mondi". Gli attori avevano iniziato la trasmissione da 15 min quando ci fu un'interruzione e dalla radio uscì la voce di Badoglio. Mara restò paralizzata con le tazze in mano ad ascoltare quel proclama, al termine del quale ebbe la consapevolezza che adesso nulla sarebbe stato più come prima. La madre entrò a metà della trasmissione e riuscì a capire cos'era successo solo quando venne ripetuto il proclama, ma a quel punto Mara era già scappata fuori a cercare il padre. Trovò l'uomo seduto in veranda, lo sguardo fisso verso il nulla che ripeteva a mezza voce "...traditore,traditore, ci ha venduti al nemico... traditi" mentre la radio ripeteva il messaggio registrato del Generale Badoglio:« Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi provenienza »
"Papà dobbiamo fare qualcosa per Sergio e per Ernesto" disse Mara prendendo il padre per le spalle e interrompendolo dalla ripetizione di quel matra, che per lei era come un presagio di morte. "Mara, è finita, per noi ora è finita" disse il padre riprendendosi un pochino. Mara lasciò la presa e lui cadde pesantemente sulla sedia, come un burattino al quale hanno tagliato i fili. Con la forza che si trova solo nella disperazione, si asciugò le lacrime e tornò in cucina. La madre piangeva e Antonia l'abbracciava piangendo: anche lei aveva figli aruolati nell'esercito italiano. "Che ne sarà di loro?" le chiese. "non lo so...non lo so..." ripose sottovoce. Un senso d'impotenza la invase, mentre riordinava la stanza già pulita prima. Eppure ora tutto era cambiato. Il "prima" e il "dopo" nella stessa stanza sembravano lontani anni luce, il tempo si era dilatato come nei romanzi di fantascenza, ma in realtà erano passati solo pochi minuti...nulla sarebbe stato più come prima. La sua adorata famiglia non sarebbe stata più come prima.Di questo ne era sicura...
Grande Nikita, dobbiamo scriverlo "a quattro mani" questo romanzo, che ne dici?
in un certo senso lo stiamo già facendo...Fammi strada e ti accompagnerò lungo il percorso.
Nikita
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