mercoledì 27 febbraio 2008

LA LIBERTA' NON HA PREZZO. Cap. 6 - L'armistizio in Calabria.

Giuseppe Simonetti, il padre di Sergio, era contento quella sera dei primi di settembre del 1943. La guerra andava male, la Sicilia era ormai completamente conquistata dagli alleati, il 28 agosto c'erano stati dei bombardamenti aerei degli alleati in Calabria e Campania e anche Cosenza aveva ricevuto la sua razione di bombe alleate. La famiglia aveva dovuto sfollare dalla loro casa cittadina. Per fortuna avevano una piccola masseria in campagna a pochi chilometri dalla città. La località si chiamava Pisicchio e non mancava di nulla, ci si poteva abitare tutto l'anno, c'erano provviste, pochi animali, ma tanti alberi da frutto, un orto ben fornito. Nonostante tutti i problemi del Paese che lo preoccupavano non poco, perché capiva che, sbarcati gli alleati in Sicilia già a luglio e conquistata tutta l'isola, presto sarebbero arrivati anche lì da loro. Quella sera,però, era contento perché Sergio era tornato in licenza per qualche giorno prima di raggiungere il suo reparto in Piemonte. Benché si fosse separato dal suo amico Ernesto che aveva cambiato reggimento, ora forse era anche più tranquillo perché a distanza di quasi tre anni dall'arruolamento, aveva acquisito la sicurezza del veterano. Sei mesi di Africa con i guastatori avevano avuto il loro effetto. Giuseppe lo considerava ormai davvero un figlio adulto e maturo tanto da potergli fare qualsiasi discorso, da uomo a uomo.
"Stasera" gli disse "viene a cena anche il maresciallo della stazione dei carabinieri di Rogliano, così ci faremo dire se è vero che dopo la Sicilia gli alleati vogliono sbarcare in Calabria. Certamente gli uomini dell'arma sono meglio informati degli amici che ho visto ieri a Cosenza."
Sergio fece spallucce, a lui ormai non importava più di avere notizie su quello che accadeva in Sicilia, sapeva solo che la licenza stava finendo e che doveva ripresentarsi al distretto di Torino fra quattro giorni, cioè l'8 settembre. Sarebbe dovuto ripartire il 7 mattina per non rischiare di arrivare in ritardo.
Aveva capito, in cuor suo, che la guerra era ormai persa, il nemico era sbarcato sul sacro suolo italiano e niente sarebbe stato più come prima. Prima di ritornare a casa, aveva sentito dire che i tedeschi, i loro alleati, non sarebbero rimasti inerti se gli italiano non avessero reagito all'invasione degli alleati nel sud e si preparavano ad invadere l'Italia con le loro divisioni corazzate, che eranno già pronte alla frontiera. Era confuso, non sapeva più cosa pensare e cosa rispondere a suo padre che ancora credeva nel fascismo e in Mussolini. Aveva timore di affrontare il discorso, perché lui per primo non sapeva che partito prendere.
Il 16 luglio, mentre era a Roma, il premier inglese Winston Churchill e il presidente americano Roosevelt avevano lanciato un comune appello agli italiani affinché decidessero “se volevano morire per Mussolini e Hitler oppure vivere per l’Italia e la civiltà”. Dopo tre giorni ci fu il primo sanginoso bombardamento di Roma. In ogni caso aveva giurato fedeltà al suo Paese ed al Re e, come ufficiale del regio esercito, avrebbe seguito le sorti dei suoi camerati. Così glissò sull'argomento e rispose la prima cosa che gli passava per la mente: "vado a fare un giro per la campagna con Mara e Paola, per raccogliere dei fichi per stasera."
Con Mara, la sua adorata sorellina i rapporti erano sempre stati idilliaci, non avevano avuto mai o quasi, degli screzi, nemmeno quelli dovuti all'età che normalmente si hanno tra fratelli e sorelle.
Mara era una ragazza molto orgogliosa e con un forte carattere, in questo aveva preso dalla mamma e come lei era una persona di un intelligenza intuitiva e pronta. Loro scherzavano spesso con i genitori e dicevano sempre che loro erano il braccio e la mente, naturalmente il padre era il braccio!
Mara gli disse subito sì quando Sergio le chiese di andare a fare una passeggiata per i campi. "prendi anche il bastone per abbassare i rami e un paio di ceste, così raccogliamo dei fichi per stasera" le disse. Era pomeriggio inoltrato, la mamma con Antonia, la cameriera, stava preparando la cena e si sentiva un profumino di frittelle di fiori di zucca che arriva soave anche nel patio, la sera si preannunciava dolce e fresca, una brezza leggera da sud aveva cominciato a spirare. Avrebbero cenato all'aperto, ancora si poteva fare e Sergio pregustava il piacere di stare assieme a tutta la sua famiglia riunita. Mancava solo Ernesto che ormai era parte della famiglia. A Mara Ernesto mancava tantissimo, ma proprio per il suo orgoglio particolare, cercava di non farlo mai vedere a nessuno. Si confidava solo con Sergio, perché sapeva di essere compresa fino in fondo da lui, ma con nessun altro l'avrebbe fatto.
Andarono in discesa verso la strada e dove c'era un capitello con una madonnina che aveva fatto mettere il padre, quando era ritornato dalla prima guerra mondiale. Lei andava spesso lì a pregare, da quando si erano trasferiti al Pisicchio, ci andava quasi sempre verso quell'ora, un po' prima del tramonto; quando la luce del giorno assumeva colori più tenui e meno eccessivi e tutto sembrava più accettabile, la lontananza, il dolore della guerra, i bombardamenti che le facevano una paura matta. Così mentre andavano ogni tanto si fermavano per raccogliere i fichi che in quel periodo erano i migliori, dolci e duri come lei. Ad un tratto lei domandò a Sergio: "Secondo te, Ernesto crede ancora nel fascismo, è ancora fascista insomma?" Così a bruciapelo e lui, che davvero non si sarebbe mai aspetta una domanda simile, rispose come in trance: "Se lo conosco un poco, Ernesto è una persona fedele alla parola data e a meno di stravolgimenti eccezionali, non verrebbe mai meno al giuramento dato."
"Ma cosa c'entra, qui sono successe cose incredibili, Mussolini è stato messo in discussione nel Granconsiglio, è stato deposto, arrestato e poi liberato dai tedeschi, non pensi che questi siano ? E poi ora gli italiani hanno ricominciato a pensare con la loro testa, i miei amici pensano che l'Italia e gli italiani devono liberarsi di Mussolini ed ora anche dei tedeschi, i quali, non so se te ne sei accorto, stanno arrivando in forze, anche qui vicino stanno sistemando una postazione di mitragliere contraeree, le hai viste?" Si che le aveva viste e sapeva anche che, lungo la strada statale che veniva dal sud, si stavano posizionando anche piccoli distaccamenti corazzati tedeschi. Aveva capito cosa questo potesse significare, ma rispose: "Sono nostri alleati, loro ci aiuteranno a respingere il nemico."
"Sergio, apri gli occhi, non mi pare che ci vogliano aiutare, mi pare invece che vogliano occupare l'Italia, pensaci."
"Certo che ho riflettuto, anche troppo e vorrei avere le tue stesse certezze. Purtroppo, la situazione non mi sembra affatto chiara e tutti questi discorsi, ora, non mi aiutano a capire di più. Mi dispiace. So solo che fra tre giorni devo ripartire e che vorrei anche parlarne con papà, ma credo che non capirebbe."
Mara aveva toccato un nervo scoperto e capì che era arrivato il momento di cambiare argomento, allora parlò di Ernesto e disse che era arrivata una sua lettera da Fiume. Diceva che si trovava bene, aveva conosciuto una famiglia di Italiani che abitavano lì dagli anni venti. Erano emigrati veneti, brava gente che spesso lo invitavano a cena.
"Speriamo che anche lui possa tornare presto in licenza." Disse e poi si incamminarono verso casa in silenzio. Pensavano al futuro, a quello che sarebbe successo e nessuno dei due aveva il coraggio di dire più una sola parola.
La cena finì e il maresciallo dei carabinieri quando si cercava di farlo parlare della guerra cambiava discorso, era un argomento probito. Si evitava di dire cose sconvenienti e tristi.
"Don Peppì, che volete che vi dica, non so nulla, certamente ne sapete più voi con tutti gli amici che avete a Roma..."
Non disse nemmeno che il giorno prima, il 3 settembre, era stato firmato l'armistizio di Cassibile, era una notizia riservata e lui non parlò anche se sapeva che Sergio sarebbe dovuto ripartire per il suo reparto in Piemonte. Chissà per quale motivo non disse nulla. Eppure era un amico di suo padre! Mara se lo sarebbe chieduto spesso, anche dopo la guerra e per questo non poteva perdonare al maresciallo quel suo silenzio. Probabilmente non lo perdonò mai ed ogni volta che parlava dei carabinieri (per dichiarare la sua personale disistima), ricordava sempre questo episodio che aveva condizionato la vita di Sergio irrimediabilmente.
Sergio ripartì e la mattina dell'8 settembre, quando venne trasmesso per radio il discorso di Badoglio, era a Torino, nella sua caserma.

martedì 26 febbraio 2008

Sempre sul Kosovo

Sempre sull'affare Kosovo, il mio amico L, bravissimo giornalista, mi sollecita a pubblicare questi tre articoli di altrettanto bravi giornalisti, per capire meglio la situazione internazionale, la politica estera dell'Italia, della UE, degli Stati Uniti e della Russia.
Per la verità, secondo L, in questi articoli c'è l'essenza di come va il mondo oggi. Credo che non abbia tutti i torto, anzi! Lo rassicuro poi sul fatto che io non voglio che il mio blog sia finto-buonista o vero-buonista , semplicemente mi piacerebbe pensare che nel mondo ci sia sempre più spazio per coloro che vogliono la pace, la convivenza pacifica di tutte le culture ed anche la loro integrazione, senza interessi economici o di potere in genere. Ho già detto quanto sono contro le identità (la difesa delle quali ha già fatto troppo danni nel mondo) e le guerre di religione o di qualsiasi altro tipo.

Il generale Mini: «Il nuovo Stato conviene solo ai clan. Sarà un porto franco per il denaro che arriva dall'Est»
L'intervista. L'ex comandante della Nato in Kosovo: «L'Ue sbaglia. Processo troppo rapido e affidato ai peggiori»
DAL NOSTRO INVIATO PRISTINA — Generale Mini, ma alla fine a chi conviene quest'indipendenza? «Ai kosovari. Non parlo della gente comune che non ha più fiducia: alle elezioni ha votato solo il 45% e Hashim Thaci ha preso il 32. No, conviene a chi comanda: allo stesso Thaci che fa affari col petrolio, a Bexhet Pacolli che ha bisogno d'un buco dove ficcare i soldi del suo mezzo impero, a Ramush Haradinaj che è sotto processo all'Aja, ad Agim Ceku che vuole diventare il generalissimo di se stesso... Del Kosovo indipendente, a questi non gliene frega niente. Come non gliene frega ai serbi. Quel che serve ai clan, d'una parte e dell'altra, è un posto in Europa che apra nuove banche. Un porto franco per il denaro che arriva dall'Est. Montecarlo, Cipro, Madeira non son più affidabili. Ecco perché pure Belgrado ci tiene tanto. Altro che terra sacra: non entra nell'Ue, se prima non sistema i soldi da qualche parte».Fabio Mini sa di che cosa parla: nel 2002-2003, è stato il comandante della Nato in Kosovo. E non ha molta stima della nuova dirigenza di Pristina: «Da lavarsi le mani, dopo avergliela stretta. Spero che la nuova generazione se ne liberi presto. L'anima nera è un signore di cui non le dico il nome, perché se lo scrive vengono lì e la ammazzano. È il mandante di almeno 28 assassinati del partito di Rugova. Uno che, come molti dei capi Uck, non ha mai spiegato la fine d'un migliaio di rom, serbi e albanesi accusati di collaborazionismo, desaparecidos negli anni del primo dopoguerra. A Pristina, si dice che se i pesci d'un certo lago potessero parlare...».Però quest'indipendenza è stata pagata con la pulizia etnica. Con anni di apartheid sotto Belgrado. Era impossibile rinviarla ancora... «Io capisco la fretta dei kosovari. È giustificata. Pensano a se stessi. È legittimo avere uno status definito, dopo anni di prese in giro e tante promesse da Stati Uniti e Gran Bretagna. Quella che non capisco è la fretta della comunità internazionale. Questi processi non si risolvono in pochi anni. E non si affidano a chi ha partecipato allo sfascio. Ci si rende conto che ora all'Aja non testimonierà più nessuno, contro gente che comanda uno Stato? E le modifiche al quadro internazionale? La minaccia d'una proclamazione unilaterale c'è sempre stata. Questa è la quarta volta che il Kosovo la mette in pratica. Quando c'ero io e la proclamò Rugova, dovetti scrivere a mezzo mondo: attenzione, ci saranno conseguenze sul campo... Nei Balcani non sai mai quale mano arma il coltello: al primo incidente, sarà uno scarico di responsabilità. Lo sto notando con le bombe di questi giorni: le bombe non sono tipiche dei Balcani. Le hanno sempre messe personaggi venuti da fuori. Quando scoppiano, è il segnale che qualcuno sta ficcando il naso».Si teme un effetto domino. «Certo, questa proclamazione fa saltare il diritto internazionale fondato sulla sovranità degli Stati. Uno scempio voluto dagli Usa, che in questo diritto non credono e l'hanno dimostrato in Iraq. Sotto quest'aspetto, il Kosovo è l'altra faccia dell'Iraq. Se all'Onu passa il riconoscimento, dopo domattina saranno tutti autorizzati a fare lo stesso: l'Irlanda del Nord, i baschi, i ceceni, i catalani... I primi ad agitarsi sono già i serbi di Bosnia: hanno uno status di Repubblica più alto del Kosovo, possono staccarsi subito dalla federazione bosniaca. In fondo, chiedono la secessione che voleva Milosevic. Per bloccare Milosevic, però, sono morte decine di migliaia di persone. E noi ora gliela regaliamo così?».D'Alema ha detto in commissione Esteri che l'Italia riconoscerà quest'indipendenza. «Sarebbe un errore fatale, peggio di quando si riconobbe in tempi record la Croazia. Quella almeno era una Repubblica federata, non un territorio sottratto a uno Stato membro dell'Onu. Non credo che l'Italia ci cascherà: il riconoscimento non spetta ai singoli Paesi, basta l'ombrello Ue».E Putin? «Dal 1989 i russi non contavano più niente nei Balcani. E oggi non gliene frega niente del Kosovo. Però stiamo facendo loro un regalo grande: la Serbia. Buttiamo via vent'anni di lavoro. Toccasse a me, andrei a Belgrado dal presidente Tadic e lo prenderei per la collottola: concedi l'indipendenza prima che la proclamino i kosovari, ti conviene. Salvi il tuo Paese. E la comunità internazionale».
Francesco Battistini16 febbraio 2008


Nazionalismi veleno d'Europa
Barbara Spinelli - La Stampa
Nata per stemperare i nazionalismi violenti, l'Unione Europea ha compiuto in questi giorni un passo paradossale, dagli effetti forse sinistri: quasi senza rendersene conto, la maggior parte dei suoi Stati ha decretato che l'indipendenza del Kosovo era una cosa non solo ineluttabile ma buona e giusta, così come il Signore vide che erano una cosa buona la terra e il cielo appena creati.D'un colpo i principali governi europei hanno smentito la propria storia, decidendo di proteggere uno Stato che ha come palese ragion d'essere la segregazione etnica. Si sono trasformati in una forza che legittima Stati razziali, inserendoli in una Comunità che a parole li rifiuta.Dicono i fautori del riconoscimento che la mossa era ineluttabile, visto il naufragio della diplomazia. Dicono anche che non sarà vera indipendenza, e che dunque non esisterà contagio: sarà un'indipendenza sotto sorveglianza, finta. Il nuovo Stato sarà un protettorato europeo come dal '99 è stato un protettorato Onu e Nato. Ma l'Europa svela la propria inconsistenza, mostrandosi così schiava della necessità. E svela la propria pochezza, scommettendo sulla forza civilizzatrice d'un protettorato che sbarazza i kosovari di responsabilità primarie: spetterà infatti all'Europa proteggere le minoranze, non ai kosovari. Questi ultimi non devono migliorare: alla civiltà penserà l'Europa, se ci penserà. Vero è che c'è inquietudine nell'Unione, che non c'è l'entusiasmo americano di fronte all'incancrenirsi di nazionalismi nel continente. Ma l'inquietudine è appena un'increspatura sulle acque del fatalismo. L'Europa non sa la storia che fa, e sembra aver scordato che la storia è tragica.E’ una storia tragica per l'Unione come per i Balcani, cui stiamo aprendo le porte senza pensieri seri sul futuro. Per quanto concerne l'Unione si conferma la malattia gravissima in cui da anni viviamo: incapace di unirsi, abolendo i diritti di veto posseduti da ciascuno Stato, l'Europa ridiventa preda dei dèmoni. Tutta la sua politica di allargamento, ormai, è all'insegna del nazionalismo ritrovato. Ogni nuovo staterello cui si promette l'adesione avrà il suo veto, neppure addolcito dalla coscienza - viva nei paesi fondatori - dei propri storici errori e orrori.La dipendenza dagli Stati Uniti si dilata, si fa patologica rivalità mimetica. Diverremo potenza anche noi se riscopriremo lo Stato nazione e ne creeremo perfino di nuovi: questo diciamo a noi stessi, vacuamente. Con una variante però: se l'Europa fosse una federazione all'americana, sopporterebbe queste variazioni di appartenenze interne.Nelle condizioni attuali, essendo una somma di mini-sovranità, rischia la degenerazione. Rischia di fare quel che non vorrebbe: di riaccendere le identità etniche, facendosene garante e dissimulandole.Questo ritorno dei nazionalismi è tragico anche per i Balcani e gli organismi internazionali. Nel prospettare l'indipendenza sotto protettorato, i ministri degli Esteri francese e inglese, Kouchner e Miliband, dissero nel 2007 che lo status quo non poteva essere accettato, e che le aggressioni serbe non andavano dimenticate. In realtà è lo status quo che oggi si accetta, e la smemoratezza dilaga. Lo status quo delle spartizioni, delle persecuzioni delle minoranze, delle logiche belliche. La smemoratezza di quel che sembrò essere l'intervento occidentale nei Balcani: una lotta contro l'odio etnico, non per suscitare mini Stati razziali. Tutto questo nasce inoltre con le migliori intenzioni: per la liberazione dei popoli. Con 90 anni di ritardo, l'Europa vive il suo momento wilsoniano, come lo chiama lo storico indiano Erez Manela. L'autodeterminazione dei popoli, proposta dal presidente Wilson tra il 1918 e il 1919, viene riproposta da un'Europa immemore di quel che già allora si nascondeva dietro l'autodeterminazione: i protettorati, i conflitti, le ipocrisie, la violenza delle disillusioni. Anche questa volta c'è ipocrisia: i dirigenti dell'Unione sanno che l'indipendenza non funzionerà senza stampelle esterne. Che la Serbia con l'appoggio russo affamerà il Kosovo, cominciando a fargli mancare l'energia (il 45 per cento dell'elettricità kosovara viene da Belgrado). Sa che la legalità internazionale non potrà essere invocata, visto che la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, approvata nel '99, prometteva a Belgrado il rispetto dei confini esistenti.Tragica è infine l'impresa in cui l'Europa s'imbarca per lungo tempo. Senza essere ancora un'Unione, bloccata dai veti interni, l'Europa si permette la più costosa delle avventure: l'avventura dei protettorati coloniali, iniziata in Bosnia-Erzegovina e combinata con negoziati d'adesione sempre meno esigenti e sempre più tattici. Un'avventura potenzialmente sciagurata, visto che nessuno osa rompere con le pratiche del protettorato Nato-Onu. A ciò si aggiunga il dramma dei fuggitivi serbi: la più ampia popolazione di profughi in Europa. Sono 700.000 i serbi fuggiti da Bosnia e Croazia (in Croazia restano i serbi convertiti al cattolicesimo, scrive lo studioso Raju Thomas). A essi s'aggiungono 207.000 serbi e Rom del Kosovo.Il protettorato Nato-Onu è stato in realtà un disastro. Lo spiega nei dettagli un rapporto redatto nel 2007 dall'Istituto di Politica Europea di Berlino, per l'esercito tedesco: in quasi nove anni, Onu e Nato hanno consentito che nascesse uno Stato criminale, che mescola radicalismo politico, servizi deviati, razzismo, mafia. Quasi tutti i suoi dirigenti, a cominciare da Hashim Thaci (premier dal novembre 2007) hanno militato nell'Armata di liberazione del Kosovo, e sono legati alla mafia internazionale e italiana: il Kosovo è specializzato nel commercio d'armi, nel riciclaggio di denaro sporco, nel traffico di droga, di clandestini, di prostituzione. È uno Stato che tollera linciaggi antiserbi come quello del marzo 2004. Che segrega i serbi in villaggi-ghetti. Che perseguita i Rom.Ma l'Europa di queste cose non si è occupata a fondo. Si è occupata della bandiera e dello statuto della nazione: senza dare garanzie vere ai serbi, senza domandarsi cosa fosse per loro il Kosovo, considerandoli eternamente colpevoli delle colpe di Milosevic. La guerra contro quest'ultimo si giustifica ex post solo se oggi non si accettano i piccoli Milosevic kosovari. Li si accetta, invece. Qui è il paradosso: grazie all'ombrello aperto dall'Europa, il male può di nuovo insinuarsi nelle sue pieghe. Nel rapporto degli studiosi tedeschi, la comunità internazionale appare complice di questi nazionalismi violenti: «grottesco è il suo rifiuto di vedere la realtà», e insano l'ottimistico «compiacimento da incompetenti» che anima i suoi massimi rappresentanti. Le forze Kfor della Nato, le forze Unmik dell'Onu, sono implicate in grandi nefandezze mafiose.L'amministrazione Usa ha sistematicamente «preferito i politici più violenti», fin dai tempi di Clinton, e «più volte ha aiutato i criminali a fuggire». Nella base Usa in Kosovo c'è un carcere stile Guantanamo, il Campo Bondsteel (dal nome d'un comandante Usa in Vietnam).I nazionalismi sono un veleno per l'Europa: alla lunga possono renderla irriconoscibile. Ancora non esiste come Unione, ed eccola pronta a creare protettorati che col tempo secerneranno risentimenti e impunità. Sotto un protettorato o dentro l'Unione (lo si è visto in Austria, Italia, Polonia) tutto diventa possibile: i razzismi al potere, l'illegalità, e quel fenomeno sempre più diffuso cui la Banca Mondiale diede il nome di State Capture, nel 2000.La «cattura dello Stato» avviene a opera di persone o gruppi che privatizzano il potere, aggirando leggi e istituzioni. Visto che esiste l'Europa come garanzia esterna, le nazioni e i loro dirigenti possono permettersi ogni cosa: i risentimenti e la caccia al diverso, l'abitudine all'irresponsabilità e la «cattura dello Stato».
Il regista serbo Kusturica «L'America ha ucciso il Kosovo, mio mito»


Intervista di Francesco Battistini - Il Corriere della Sera
BELGRADO — «C'era una volta un Paese... », dice Ivan nel finale di Underground, quando l'isolotto si stacca e trascina tutti sul Danubio. «C'è ancora un Paese che si chiama Serbia», dice Emir Kusturica nella sua casa di Kustendorf, quell'impresa alla Fitzcarraldo che da Hollywood l'ha portato sulle Alpi Dinariche a investire due milioni e costruirsi una sua Città Ideale tutta di legno.Il Kosovo è indipendente da una settimana, anche l'ultimo pezzo della fu Jugoslavia se n'è andato e questa dissolvenza non fa dormire Emir. Dopo 53 anni, un Leone d'Oro a Venezia e due Palme d'Oro a Cannes, neanche la serata degli Oscar lo risolleva. Pristina Dream: «Giovedì ero in piazza a Belgrado. Sono salito sul palco. Ho parlato col cuore. Sono contro quest'idea che fa passare i serbi per un popolo primitivo, distruttivo ».Beh, dopo il suo discorso gli hooligan sono andati a incendiare l'ambasciata americana... «Condanno quel gesto. Ma l'incendio di un'ambasciata non è lontanamente paragonabile alla distruzione che i serbi sopportano da anni. La stessa distruzione esportata in Iraq. Voi giornalisti lo chiedevate sempre agli americani: perché non proteggete la culla della civiltà mesopotamica? Loro vi rispondevano sempre: sorry, ma questa non è la nostra civiltà. Ora, nessuno che domandi agli americani: perché non proteggete la culla della civiltà serba? Il cinismo del Pentagono vi ha contagiati tutti».Tira aria di guerra fredda. «Il problema Kosovo parla a tutti. C'entra la differenza di culture, l'accettazione d'un patrimonio diverso. Le chiese, i monasteri, i poeti sono cultura europea. Ma gli americani non rispettano la cultura che non riconoscono come propria. E dov'è l'Onu che deve battersi per le società multietniche? Nessun europeo può accettare che un mondo venga distrutto».Distruzione? Nessuno sta toccando i serbi... «Parlo d'un Paese messo nell'angolo buio del mondo. Eppure abbiamo dato il genio d'un Ivo Andric, siamo una colonna d'Europa. Non siamo l'Africa, né guerrafondai. Siamo come gli altri europei ».Però c'è un'intellettuale serba come Natasha Kandic che è per l'indipendenza di Pristina ed è minacciata di morte... «Amico mio, sono il primo a difendere il diritto di Natasha a parlare. Ma bisogna dirlo: questi non sono intellettuali. È gente pagata da Soros (il miliardario americano, ndr) ».Lei ce l'ha con l'America, ma a lei l'America ha dato molto... « Io rispetto il mito di Hollywood. Non la Hollywood di oggi, ma quella del passato sì: è un mio mito. Come lo è il Kosovo. Ad Angelina Jolie, nessuno si sogna di togliere Frank Capra. Allora nessuno uccida la mia mitologia».Farebbe un film sul Kosovo? «Se serve un videogame, lo faccio. Un film classico non è possibile. La mitologia del Kosovo è qualcosa di molto spirituale. Adesso vado in Messico a girare "Gli amici di Pancho Villa". Un'altra mitologia».E in Kosovo ci andrà? «L'ultima volta, ci sono stato cinque anni fa. A Mitrovica faticano a costruire qualcosa. Ma sanno anche loro che il mito è più importante della realtà. Il nostro cervello non si nutre solo dell'oggi. Come potreste avere un presente, voi italiani, se vi togliessero Venezia o Roma? C'è un altro mito che ci fa sperare: Davide contro Golia. Il gigante cade, più che per il sasso, per la sua presunzione».Il gigante sta scegliendo un nuovo leader... «Spero in Obama. Ho molta simpatia. Vorrei che l'America fosse guidata da uno con una concezione umanistica della storia, capace di parlare ai popoli ».Non crede che in Serbia sia mancato un esame di coscienza collettivo, come lo fecero i tedeschi dopo il nazismo? Nessuno ha mai chiesto scusa di tre guerre e migliaia di morti. «Questo non è accettabile. Possiamo parlare giorni di Milosevic e dei capitoli spregevoli della storia serba. Ma non puoi spiegare con Milosevic quel che è successo il 17 febbraio in Kosovo. Perché non tirare in ballo Tito o i turchi, allora? La tragedia del Kosovo è legata alla più grande base dei Balcani, Bondsteel, costruita laggiù dagli americani. Sui media occidentali non se ne parla mai: sempre e solo colpa di Milosevic. Non c'è intelligenza. Non fa capire perché il caso Kosovo stia diventando un modello, che so, per i baschi: anche lì si spiega tutto con Franco?».Ma la Serbia sta diventando il miglior alleato di Putin? «La migliore posizione serba è con l'Est e senza l'Est. Lo capì Tito. Putin può avere un ruolo positivo, ma non possiamo diventare una succursale russa. Perché domani a Mosca può arrivare qualcuno che se ne infischia della Serbia. Noi abbiamo bisogno d'una relazione stabile con l'Europa. Però queste cose deve chiederle a un politico».Perché, in politica non entrerebbe? «No. Sono solo un effetto collaterale. Sono il partito di Kusturica».

giovedì 21 febbraio 2008

Una notizia di agenzia (Ansa) senza parole...

ANSA
2008-02-20 20:46
kosovo: Borghezio, importante per Padania
STRASBURGO - Il Kosovo come la Padania. E' il parallelo fatto in aula al Parlamento europeo da Mario Borghezio, capo delegazione della Lega, secondo il quale l'indipendenza del Kosovo è "una concreta applicazione in Europa del principio di autodeterminazione dei popoli, sancito dalla Carta dell'Onu". "Certo, desta seria preoccupazione la creazione del primo Stato islamico in Europa, salutato già da tutta la stampa jihadista e la sorte della minoranza cristiana ortodossa serba", ha osservato l'eurodeputato del Carroccio, secondo il quale "é e resta innegabilmente un precedente giuridico e politico". "Molto importante per chi, in Europa, dalla Corsica alle Fiandre, dalla Sardegna a Euskadi e alla nostra Padania, ora ancora nazioni senza Stato, aspira all'indipendenza. Viva l'Europa dei popoli! Padania libera!", ha esclamato Borghezio. Il suo intervento è stato subito criticato da Roberto Musacchio (Prc), Monica Frassoni (Verdi), Pasqualina Napoletano (Sd) i quali hanno rilevato come le affermazioni di Borghezio, sono "inquietanti e richiedono un immediato chiarimento da parte della forza politica di cui fa parte e di quelle alleate".

martedì 19 febbraio 2008

I dodici punti di Veltroni e del PD... Manca qualcosa, no?


Ho ripreso dal Corriere della Sera del 16 febbraio 2008 i dodici punti indicati da Veltroni come prioritari. A me sembra che manca qualcosa e qualche punto deve essere meglio precisato.


INFRASTRUTTURE - «Primo: modernizzare l'Italia significa scegliere come priorità le infrastrutture e la qualità ambientale - ha detto - per colmare il ritardo che l'Italia ha accumulato. Diciamo no alla protesta Nimby e sì al coinvolgimento e alla consultazione dei cittadini. Sì agli impianti per produrre energia pulita, ai rigassificatori, ai termovalorizzatori e al completamento della Tav».
Consultazione dei cittadini? Giusto, ma la programmazione è altra cosa. Poi se i cittadini dicono no dappertutto che si fa? Diceva Costantino Mortati, grande costituzionalista, il popolo non dà pareri, il popolo decide!
I trasporti: occorrono privilegiare sistemi di trasporto più razionali, meno inquinanti e meno lobbistici. Più trasporti ferroviari e navali, meno trasporto su gomma!

MEZZOGIORNO - Secondo punto programmatico «è il grande obiettivo di innovazione del Mezzogiorno, della sua crescita, che è la crescita dell'Italia». Veltroni dice no ad una «politica che disperda fondi in una miriade di programmi, mentre diciamo sì a una drastica e veloce revisione dei programmi europei».
Sarà il caso di verificare seriamente che fine hanno fatto tutti i finanziamenti europei che sono stati spesi nel Mezzogiorno d'Italia ?!? Ad esempio i depuratori della Calabria sui quali indagava De Magistris, dove sono?

SPESA PUBBLICA - Terzo obiettivo «il controllo della spesa pubblica». Negli anni di governo della destra - spiega Veltroni - è aumentata la spesa primaria corrente, «mentre il governo Prodi ha risanato e migliorato i conti pubblici. Per questo il nostro slogan è spendere meglio, spendere meno».Oltre al controllo sarebbe troppo chiedere una riduzione mirata della spesa pubblica? Il quirinale ha ridotto le spese di 3,5 milioni di euro su 231 milioni circa del 2007, la Corte d'Inghilterra di quasi il 50%.

RIDUZIONE TASSE - Il quarto obiettivo del Pd «è fare quello che non è mai stato fatto: ridurre le tasse ai contribuenti leali, ai lavoratori dipendenti e autonomi che oggi pagano troppo». Un obiettivo che si traduce nello slogan: «Pagare meno, pagare tutti».Giustissimo!

LAVORO DONNE - Quinto punto del programma «è investire più di quanto mai sia stato fatto sul lavoro delle donne». Perché «oggi in Italia ci sono tre patologie: bassi tassi di occupazione femminile, bassa natalità e alti tassi di povertà minorile. E noi vogliamo trasformare il capitale umano femminile in un asso per la partita dello sviluppo».Ok!

CASE IN AFFITTO - Al sesto punto programmatico c'è il problema della casa. Veltroni vuole aumentare le case in affitto e la «costruzione di circa 700 mila nuove case da mettere sul mercato a canoni compresi tra i 300 e i 500 euro».Ok!

DOTE FISCALE - Settimo obiettivo «è quello di invertire il trend demografico mediante l'istituzione di una dote fiscale: 2500 euro al primo figlio e aiuti per gli asili nido». Veltroni ha quindi rimarcato la necessità della lotta alla pedofilia, «il più orrendo dei crimini».Perché non introdurre la possibilità di dividere il reddito imponibile tra tutti i componenti della famiglia?

UNIVERSITA' - Ottavo posto nel programma del Pd è quello dell'università. «Cento nuovi campus universitari e scolastici entro il 2010 «perché la società dovrà contare sul talento e sul merito dei ragazzi italiani».Spero che non si tratti di istituire nuove Università e nuove facoltà, abbiamo bisogno forse di diminuirle e di far crescere nel merito professionale quelle già esistenti. Il merito poi dove lo mettiamo, basta con i professori che vincono concorsi per grazia ricevuta da sponsor più o meno occulti.

PRECARIETA' - Nono punto: «la lotta alla precarietà, la qualità del lavoro e la sua sicurezza». Per Veltroni «la sicurezza sul lavoro è un diritto fondamentale della persona umana, che non può essere comprato e venduto a nessun prezzo». Quanto ai giovani precari dovranno raggiungere il minimo di 1.000 euro mensili.Contraddizione in termini, mi pare. Lotta alla precarietà significa sfavorire i contratti di lavoro precario e non solo garantire dei minimi di reddito ai lavoratori precari.

SICUREZZA - Decimo obiettivo è quello della sicurezza «perché far sentire sicuri i cittadini è uno dei principali obiettivi del Pd». Il segretario del Pd vuole maggiori fondi per le forze dell'ordine e ribadisce la certezza della pena come uno dei cardini dell'azione di governo del centrosinistra.Certezza della pena significa soprattutto far funzionare meglio il "sistema Giustizia", quindi maggiore risorse al settore e riorganizzazione degli uffici, privilegiando la produttività e rispondendo anche in termini adeguati alla domanda di giustizia. Insomma, basta con i tempi biblici ai quali purtroppo siamo abituati da troppo tempo e per i quali l'Italia è costantamente condannata, anche per risarcimento danni, dalla Comunità europea.

GIUSTIZIA - Undicesimo punto è quello della giustizia e della legalità. Ricordando le parole di Napoletano Veltroni dice «che da troppi anni c'è uno scontro nel Paese sulla giustizia e tra politica e magistratura. Proporremo norme innovative per la trasparenza delle nomine di competenza della politica. Nel nostro ordinamento inseriremo il principio della non candidabilità in Parlamento dei cittadini condannati per reati gravissimi connessi alla mafia, camorra e criminalità organizzata o per corruzione o concussione».
Vale anche quanto detto al punto dieci.

INNOVAZIONE - Ultimo e dodicesimo punto è quello dell'innovazione: «Vogliamo portare la banda larga in tutta l'Italia e garantire a tutti una tv di qualità». Il segretario del Pd dice che è necessario superare il duopolio tv «e correggere gli eccessi di concentrazione delle risorse economiche, accrescendo così il pluralismo e la libertà del sistema». Va bene, e già che ci siamo, almeno sulla Tv pubblica evitiamo i programmi diseducativi (trash e dintorni) ed anche lì cerchiamo di privilegiare il merito e non i raccomandati. A proposito, lo sapevate che il direttore della cultura di Rai uno è Gigi Marzullo ?

Per quanto mi riguarda mancherebbero anche un punto sulla scuola e l'università che non vanno riformate, ma semplicemente rifondate con programmi adeguati (ricordiamoci anche dell'educazione civica!), selezione degli studenti in base al merito fino dalle scuole primarie, retribuzioni serie per i docenti che devono essere scelti con veri criteri di professionalità. I professori devono inoltre essere valutati annnualmente per le loro reali capacità di docenza e chi non risulta adeguato deve essere "riorientato" ad altri lavori se recuperabile oppure semplicemente allontanato se non in grado di insegnare.
La ricerca dove la mettiamo? Non è possibile spendere in questo settore meno della Danimarca, che ha 5 milioni di abitanti e noi più di dieci volte in più.
La pubblica amministrazione centrale e periferica: è ora di finirla con lo spoils system dei dirigenti e con la sostanziale cooptazione di tutti i centri decisionali. se si vuole una pubblica amministrazione efficiente ed imparziale, ci deve essere una reale separazione tra politica e gestione dei servizi pubblici, non ci sono altre strade possibili.

Infine, la sanità, non è possibile che ci sia un divario così grande tra le diverse regioni italiane in termini di qualità del servizio, di quantità della spesa e di possibilità di cure per i cittadini.

Queste le prime cose che mi vengono in mente, ma aspetto i vostri commenti.

Aspetto il programma del PDL per commentare anche quello, la par condicio innanzi tutto!

sabato 16 febbraio 2008

Biutiful cauntri

A proposito di quello che sta succedendo in Campania.
Da ascoltare attentamente, soprattutto la telefonata tra i due che parlano l'italiano con accento del nord...

La Libertà non ha prezzo. 5 Capitolo, il diario di Ernesto.



25 febbraio 1944. Stalag 307 - Deblin-Irena.

Oggi è venuto nella nostra baracca padre Vincenzo, un cappellano degli alpini che è stato preso prigioniero a Fiume, come me. Ci ha portato un pezzo di carta sul quale aveva scritto una preghiera. La preghiera del prigioniero. L'ho trascritta subito su questo quadernetto e poi l'abbiamo recitata tutti assieme, in piedi al centro della baracca vicino al bidone che funge da stufa. Fuori ci saranno forse una diecina di gradi sottozero, tutto è bianco e silenzio...

Preghiera del prigioniero.

O Vergine Santissima, madre di Cristo e pietosa madre di tutti gli uomini, ascolta la preghiera che noi tuoi figli da questa terra di prigionia, con vivissima fede, innalziamo a Te.

Quanto soffriamo di angustie, di umiliazioni, di pene, Tu sai che noi lo offriamo ogni sera, preghiera sanguinante al Tuo altare, dicendo di trasformare la nostra sofferenza in espiazione di tutto il nostro male, in preghiera per il nostro più presto ritorno tra i cari lontani e in contributo per la salvezza della famiglia e della Patria nostra.

Vedi anche, o Vergine Santissima, i volti rigati di lagrime di tante mamme, di tante spose, di tanti bimbi che a Te fiduciosi guardano raccolti intorno ai tuoi mille venerati altari d'italia e fa che per tanta fede, per tante preghiere, per tanti sacrifici si stabilisca nel mondo la tranquillità della Pace fissa nella Giustizia e nella Carità. Per Tua intercessione, a madre di Cristo, ci ascolti il Padre che è nei cieli e vive e regna col Figliuolo Tuo nell'unità ella Spirito Santo e così sia.

Imprimatur: in stalag 307, Deblin-Irena.

Alla fine ho aggiunto la mia personale preghiera:

"O S. Rita, mia invitta Protettrice, siate sempre al mio fianco, in pace e in guerra, benedite i miei cari lontani, e siatemi propizia specialmente nel punto estremo della mia morte. Così sia.

S. Rita, io ripongo le mie sorti nelle vostre mani benedette."

Alla fine della preghiera collettiva eravamo tutti commossi, occhi lucidi a guardare lontano, fuori dalla misera finestrella della baracca. Finiranno mai le nostre pene? Sono mesi ormai che siamo in queste condizioni. Le notizie sono scarse e a volte non sembrano per niente buone.

Sono però riuscito a sapere da un conoscente comune che Sergio forse si è salvato dalla prigionia, ma è rimasto a combattere con i fascisti della Repubblica di Salò con il Duce.

Non so cosa pensare, ma penso che se ha preso questa decisione le circostanze saranno state tali da non fargli avere un parere diverso. Una cosa è certa noi tutti, che siamo qui rinchiusi ,abbiamo compreso in poco tempo cosa è il fascismo e il nazismo. Le follie di Hitler e forse ancor di più quelle di Mussolini hanno portato noi e il nostro amato Paese alla rovina. Ora che siamo rinchiusi abbiamo capito cosa vuol dire perdere la libertà senza meritarlo e abbiamo visto di cosa è capace la cattiveria umana. Non so cosa potrà ancora succedere, ma io mi auguro che questa guerra non la vincano i tedeschi, sarebbe la fine della civiltà e dei diritti umani.

Non ho la forza e il coraggio di scrivere tutto quello che sta succedendo, che ci sta succedendo, ma giuro che se torno a casa, cercherò di raccontare la nostra tragedia perchè la memoria non deve essere persa.

Ho anche paura che mi trovino questo "diario". Ogni volta che ci chiamano per l'appello e qualcuno dei kapò va a perquisire le baracche, tremiamo dal terrore che scoprano qualcosa che non gli va a genio. Un tavolaccio spostato o un asse del pavimento fuori posto può dar luogo a qualsiasi violenza. Siamo nelle mani di vere belve, alcune guardie sono reduci dal fronte russo dove stanno subendo gravi perdite e per questo hanno sete di vendetta.


domenica 3 febbraio 2008

Che fare ?

Questo titolo ricorda il libro che Lenin scrisse nel 1902 e che voleva affrontare i problemi del nascente movimento socialista internazionale. Non volevo però volare così in alto, ma riferirmi solo alla situazione politica italiana.
Non vi è dubbio che questo sia un Paese che necessità di un Governo politico che abbia il consenso popolare e poiché questa è una repubblica rappresentativa parlamentare, il Governo ha bisogno del sostegno della maggioranza degli eletti in Parlamento.
E' altresì chiaro a tutti, lo ha detto recentemente anche la Corte Costituzionale, che la vigente legge elettorale abbia seri problemi di legittimità costituzionale in quanto non rende effettivo il principio di rappresentanza. In altre parole non consente ai cittadini elettori di esprimere liberamente il proprio voto e, di conseguenza, al Parlamento così eletto di rappresentare realmente le istanze degli stessi cittadini.
Per modificare la legge però c'è bisogno di una maggioranza parlamentare che approvi una nuova legge o che apporti a quella vigente i necessari correttivi. Questa maggioranza sembra non esservi ed è molto probabile che lunedì o martedì il Presidente incaricato Marini ne prenda atto, comunicando al Presidente della Repubblica che non è possibile formare un Governo che presieda a queste modifiche, perché invece la maggioranza vuole andare a nuove elezioni.
A questo punto, credo che occorra ricordare che esiste la possibilità di indire il referendum abrogativo, sottoscritto da più di 800.000 elettori, prima di andare a nuove elezioni con la legge elettorale della vergogna.
Quale sarebbe l'effetto del referendum elettorale sulla legge elettorale? Credo che sia giusto conoscerlo, prima di decidere che ha ragione questo o quel leader politico.
Se il referendum venisse approvato, si avrebbero tre effetti:
a) il premio di maggioranza sarebbe assegnato al partito che prenderà più voti e non alla coalizione.
b) ci sarebbe una soglia di sbarramento del 4% alla camera e dell'8% al senato.
c) non ci sarebbe più la possibilità per i "big" di candidarsi in più collegi contemporaneamente, decidendo poi dove dimettersi per scegliere chi deve salire al Parlamento.
Mi pare chiaro che dopo si potrebbe ottenere un sistema di rappresentanza certamente più semplificato, coerente e meno frammentato e si otterrebbe un ricambio quasi obbligato della classe dirigente, anche se ancora le candidature iniziali sarebbero bloccate, cioè scelte dai vertici dei partiti.
Ecco perché molti hanno paura del referendum, soprattutto i piccoli partiti, sia a destra, a sinistra e al centro e cercano di andare ad elezioni subito perché così si assicurano almeno un'altra legislatura e gli accordi elettorali sono stati già sicuramente presi.
Io direi che se fossimo in un mondo non ideale, ma solamente normale, il Presidente della Repubblica ed il Presidente del Consiglio in carica anche se dimissionario, debbano prendersi delle responsabilità per il bene del Paese e dei cittadini (la sovranità è del popolo, ricordate?). Permettere lo svolgimento del referendum ad aprile ed elezioni politiche a giugno. E' una via d'uscita onorevole per l'Italia, rifletteteci per favore.

La libertà non ha prezzo. Capitolo 4. Il diario di Ernesto (segue).


3 Febbraio 1944. Sono mesi che non scrivo più su questo mio taccuino che ho tenuto nascosto dentro i pantaloni.
Cerco di essere parsimonioso perché carta e matite non se ne vedono in giro e chi ce l'ha, le tiene ben riservate ed in conto. Inoltre, devo dire la verità, molto spesso non si ha voglia di raccontare quello che si vede.
Capisco che se qualcuno, un giorno, dovesse leggere questo mio racconto farebbe fatica a crederci, però mi rendo anche conto che non è giusto non conservare la futura memoria di quello che stiamo passando, tutti. Dai generali all'ultimo soldato. L'aver rifiutato di ritornare in Italia a servire per una fantomatica Repubblica Sociale con a capo il cavalier Benito Mussolini, ci ha messo in una condizione non certo facile. I tedeschi ora ci guardano con più disprezzo e ci sputano addosso tutto il loro livore.
Non so se uscirò vivo da questa vicenda, nessuno di noi lo sa. Molti compagni sono già morti, chi di febbre, chi di stenti e chi ucciso dai tedeschi. Sono mesi che mangiamo pochissimo, beviamo più che altro. Ogni tanto riusciamo a fare sulla stufa della baracca una minestra calda con le bucce delle patate e carote marce che riusciamo a trovare nei fossi vicino alle cucine dei campi che abbiamo "visitato". Siamo al quarto campo in cinque mesi. Ora siamo in Polonia, fa un freddo bestia e la mattina ci fanno alzare per l'appello alle sei che è ancora buio e ci saranno venti gradi sottozero. Il campo è in una cittadella fortificata sul fiume Vistola, il posto si chiama Deblin Irena ed è il forte di Ivan Gorod.
Siamo stanchi, affamati sporchi, e pieni di parassiti. Abbiamo capito che i tedeschi non ci considerano dei prigionieri di guerra, soldati e ufficiali. Ci trattano come bestie ma senza nemmeno il rispetto che si deve agli animali. Abbiamo tradito, secondo loro, e non siamo degni di nessuna considerazione. E per questo che vogliamo resistere e vogliamo farlo ad ogni costo, per dimostrare che siamo uomini. Loro trattandoci come bruti, vogliono fiaccare le nostri menti, il nostro corpo, forse questa è la punizione che vogliono infliggerci perchè si arrivi al suicidio oppure al cedimento fisico. La nostra reazione, invece, è univoca e solidale. Vogliamo conservare la nostra dignità di essere umani e di compagni. Per questo dividiamo tra noi tutto il cibo che riusciamo a trovare e ci sosteniamo anche moralmente quando qualcuno è giù. Non riusciranno a farci diventare dei bruti.
16 febbraio 1944. Oggi è stata una giornata pessima, il capitano Giulietti aveva la febbre e non riusciva ad uscire dalla baracca. Quando sono venute le guardie per vedere dove stava, l'hanno buttato giù dalla branda e lo hanno bastonato con il calcio dei fucili. Ora sanguina vistosamente, a noi sembra moribondo. Sono loro gli animali, non noi!
Quando succedono queste cose, e ne succedono, il mio pensiero va a casa. Chissà come stanno loro ora. Cci sono voci che l'Italia sia stata divisa in due, da una parte gli alleati anglo-americani, dall'altra i tedeschi. Al nord continuano i forti bombardamenti, mentre al sud forse stanno meglio. Chissà se torneremo e se torneremo, cosa troveremo? I nostri cari saranno ancora vivi? Ci confortiamo dicendoci che tutto finirà bene. La nostra prigionia non potrà durare a lungo perché i crucchi perderanno anche questa guerra, questo lo ripetiamo sempre sottovoce. Qualcuno dice che a Stalingrado stanno per arrendersi o si sono già arresi ai russi 800.000 tedeschi e forse è vero perché abbiamo sentito che vogliono riportarci in Germania per lavorare nelle fabbriche di armi. Dobbiamo resistere, forse la fine della guerra è vicina.
Mara, amore mio, ti penso sempre. Ogni sera, prima di chiudere gli occhi, ti rivedo come se fossi qui vicino a me. Siamo a primavera, nella nostra campagna odorosa e piena di fiori, siamo stesi sull'erba e tu mi tieni la mano e mi sussurri: "resisti amore mio, presto saremo assieme per tutta la vita..." e io mi addormento tra i morsi della fame e del freddo a migliaia di chilometri dalla Calabria e da te.