martedì 29 aprile 2008

Persone speciali: Padre Pino Puglisi.






Tornando a casa oggi ascoltavo la radio, come sempre, in auto.


C'era un magistrato che parlava di mafia e di Padre Pino Puglisi.


Ho sentito allora l'impulso di parlarne qui. In rete c'è tutta la storia, raccontata però anche in modo non univoco. Qui troverete testimonianze che ritengo più aderenti alla realtà ed alla personalità di don Pino.


Padre Pino Puglisi era un sacerdote di Palermo che diceva cose semplici e parlava alle persone del popolo in questo modo:


Ho sognato un posto dove erano spariti i furti, dove non c'erano più violenze, prepotenze"
" Se ognuno di noi fa qualcosa, insieme possiamo molto"
" Mio padre dice che la gente qua è divisa in due: quelli che camminano a testa bassa e gli uomini d'onore che camminano a testa alta" - "Allora diciamo che io sono venuto qua per aiutare la gente perbene a camminare a testa alta!"


La mafia lo uccise con un colpo alla nuca il 15 settembre 1993, il giorno del suo 56esimo compleanno. Perché?


Perché stava insegnando alla gente a vivere senza dipendere dai mafiosi, a credere che una società diversa è possibile se lo vogliamo tutti veramente.


Questo vale anche per altre situazioni, per altri problemi sociali.


sabato 26 aprile 2008

Pellegrinaggi


Pensierino del mattino:
E' più difficile, penoso, ma santifica maggiormente andare a San Giovanni Rotondo e stare in coda per ore per cercare di vedere il corpo di San Pio da Pietrelcina oppure seguire il vangelo ed applicarlo, ogni santo giorno che Dio ci manda, nel pellegrinaggio della nostra vita?
Questa è la domanda (this is the question...).

giovedì 24 aprile 2008

25 Aprile 2005 - Ossario di Coazze (To)


INTERVENTO PER IL 60° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE ALL’OSSARIO DI COAZZE (TO).

Saluto i rappresentanti delle istituzioni civili e militari, i rappresentanti delle associazioni partigiane e voi tutti qui presenti.
Sono onorato di prendere la parola in questo luogo così importante per la storia dell’Italia Repubblicana. Io sono solo il nipote di uno di questi eroi qui sepolti. Sono nipote di un partigiano, morto assieme al suo comandante, medaglia d’oro della Resistenza Sergio De Vitis, nell’assalto alla polveriera di Sangano.
Mio zio, come tanti suoi compagni, morì giovane a 23 anni, su queste bellissime montagne, in un giorno che forse aveva lo stesso cielo azzurro e terso come quello di oggi.
Mi sono chiesto tante volte dove i giovani di quella generazione avessero potuto trovare il coraggio di reagire all’occupazione ingiusta e criminale, dove trovarono la forza di resistere alle ingiustizie ed ai delitti dei nazifascisti.
Dove trovarono la fermezza d’animo per rimanere in prigionia nei lager in Germania e Polonia (come fece anche mio padre preso prigioniero dai nazisti dopo l’8 settembre), senza cedere alle lusinghe della repubblica di Salò, che pure li avrebbe riportati sul suolo d’Italia.
Erano giovani e giovanissimi, avrebbero potuto avere un futuro davanti al loro, invece il destino li ha posti davanti a scelte che farebbero tremare i polsi a chiunque e loro hanno saputo scegliere!
E hanno scritto le pagine più gloriose ed eroiche della storia della nostra Repubblica.
Ragazzi, ma nello stesso tempo Uomini che seppero prendere la loro croce senza esitazioni.
Dobbiamo dichiarare apertamente e dovranno continuare a dirlo anche le future generazioni che noi abbiamo un debito di riconoscenza davvero incolmabile nei loro confronti.
Senza il loro sacrificio di 60 anni fa, noi oggi non saremmo liberi e non avremmo avuto uno stato di diritto ed una democrazia in cui vivere.
E’ probabile che loro non pensavano a tutto quello che sarebbe stato dopo la liberazione, è certo però che essi combattevano per quegli ideali di giustizia e libertà poi trasfusi interamente nella nostra Costituzione Repubblicana.
E’ proprio per questi motivi che io, da quando ho scoperto che mio zio è qui sepolto, vengo con le mie figlie ogni volta che posso e continuo a spiegare loro le ragioni della Resistenza e della lotta di liberazione.
Per me, e credo per tutti Voi, non è solo una cerimonia per la commemorazione e per rendere onore ai partigiani, ma anche l’occasione per ribadire che quei valori sono sempre vivi e che occorre continuare a difenderli, tutti i giorni della nostra vita, perché c’è ancora, dopo 60 anni, bisogno di difenderli. Lo vediamo tutti i giorni e in tantissime situazioni.
Il fascismo, purtroppo, non è morto e gli orrori del passato possono ritornare.
Questo continuo a dire alle mie figlie.
Spiego loro che questa obbligazione morale l’abbiamo nei confronti degli eroi che sono qui come nei confronti delle migliaia e migliaia di partigiani, di civili, uomini, donne e bambini, morti in tutta Italia per il riscatto del Paese.
Per questo debito di riconoscenza noi non dobbiamo e non dovremo mai abbassare la guardia della democrazia ad evitare che i nuovi fascismi prendano piede e demoliscano le libertà così sanguinosamente conquistate.
Le responsabilità di ciò sono di tanti, dalla scuola ai mezzi di comunicazione, ma anche e più di tutti della politica.
Proprio oggi che il crescente revisionismo, di alcune parti della nostra società, cerca di stravolgere non solo le verità storiche, ma anche le istituzioni democratiche e repubblicane, così faticosamente e duramente conquistate, anche su questi monti.
Mi riferisco, in particolare, alla proposta di modifica della Costituzione che la renderebbe completamente diversa da quella attuale e, soprattutto, che comporterebbe un arretramento nei diritti e nei valori di uguaglianza, solidarietà e giustizia sociale. C’è oggi, nuovamente, il rischio del regime, di un regime di tipo nuovo, basato sull’eliminazione dei diritti uguali ed universali per tutti i cittadini, quello che vale a Torino o a Milano, potrebbe non esserlo più a Palermo, un regime basato su leggi particolari che valgono solo per pochi privilegiati e che abbassano sensibilmente il livello di legalità dello stato di diritto, un regime basato anche sull’abrogazione dell’indipendenza dei giudici e sullo stravolgimento dell’equilibrio tra i Poteri istituzionali dello Stato.
Non dobbiamo cadere in questo tranello, difendiamo la Costituzione ed i valori che essa rappresenta, così come i nostri cari partigiani lottavano per la liberazione. Ognuno di noi lo può fare modestamente nel proprio lavoro nella vita di tutti i giorni, senza arrivare all’estremo sacrificio, come hanno fatto loro, ma anche solo con piccoli gesti.
I frutti migliori della Resistenza, sono proprio l’antifascismo e la Costituzione. Una Costituzione tra le più avanzate del mondo, straordinariamente diversa dal modello liberale classico e dalle costituzioni borghesi, proprio perché costruita da tutte le forze politiche che, dopo la Liberazione, nonostante le divisioni ideologiche, che allora erano ben altre rispetto a quelle attuali, si sono messe insieme per fondare questa società basata sui diritti e sulle libertà.
Noi oggi abbiamo il dovere di difendere questo modello di società consegnatoci dai nostri genitori e dobbiamo tramandarlo intatto ai nostri figli.
Voglio terminare ringraziando i cittadini di questa generosa terra piemontese, che hanno accolto i nostri cari come se si trattasse di figli propri e non era facile a causa delle efferate rappresaglie del nemico. Grazie a tutti.

sabato 19 aprile 2008

E' l'ora di cominciare a fare sul serio...

Così mi dice un amico, il quale dopo le elezioni mi ha inviato un articolo-lettera che ha già inviato alla rivista Limes, chiedendomi di pubblicarlo anche sul mio blog.
Potrebbe iniziare da questo post un piccolo dibattito sul tema, che è sempre d'attualità da circa 150 anni a questa parte. Cioé dall'unità d'Italia ad oggi.
Credo che l'autore contrariamente a quanto si possa pensare di primo acchito dopo la lettura, sia invece un italiano a 360 gradi che soffre per come siamo ridotti. Faccio questa precisazione perché io, da cultore del risorgimento e della lotta di liberazione dal nazifascismo, appena l'ho letto (soprattutto il passaggio che riguarda Giuseppe Garibaldi) sono rimasto un po' choccato. Dopo averci riflettuto un po' devo dire che si è sempre discusso dell'impoverimento del Sud dopo l'Unità d'Italia. Unità che, forse, per l'economia meridionale non ha sicuramente giovato al Sud anzi, almeno nei primi cento anni di storia (come ricorda anche Luciano Luongo), ha causato la rovina soprattutto dei ceti e delle classi meno abbienti, mentre ha arricchito gli sfruttatori e questo dato è richiamato da molti studiosi di storia economica e molti sono gli autori che sostengono ormai apertamente queste tesi.
Per questo mi piacerebbe che si aprisse una bella discussione su questi argomenti, oggi resi più che mai d'attualità dal successo della Lega Nord.
Voglio dare alcune precisazioni tecniche per i potenziali commentatori: su questo blog chiunque può commentare, anche anonimamente, basta cliccare in fondo al post su commenti. L'ho lasciato liberissimo, proprio per non contraddire il titolo del blog. Naturalmente se vi dovessero essere commenti lesivi di diritti e diffamatori, saranno cancellati. Se qualcuno, invece, volesse autenticarsi basterebbe seguire le istruzioni che appaiano dopo aver cliccato commenti e registrati qui, è molto semplice. NON SIATE TIMIDI!!!
Grazie a tutti.

Caro Limes, Caro Direttore,
per capire se serve l’Italia occorre guardare prima un attimo indietro, alla nascita del nostro Stato. Cosa fu ad unire l’Italia? Fu l’interesse di alcune classi agiate padane unite agli interessi francesi e savoiardi. Seppero sfruttare la debolezza austro-ungarica e conquistarono il Belpaese. Di conquista si trattò. Attuata da un mercenario finto italiano e da un re piemontese. Fu talmente conquista che per 60 anni il sud fu soggiogato e depredato economicamente. Come si può definire se non conquista quella che ha causato 6 milioni di emigranti in meno di un secolo? Che ha visto la fine dei grandi centri culturali ed economici meridionali. Che ha rafforzato una criminalità che si è trasformata da forma di difesa mutualistica dei più deboli in uno straordinario strumento di controllo e di rafforzamento del potere centrale.
Paradossalmente il fascismo, tra le sue mille aberrazioni, tematizzò meglio dei Savoia la questione meridionale. Ed infatti combatté con forza i poteri criminali.
La Repubblica si limitò a farne una riserva di carne umana, per la forzata industrializzazione, stabilizzatrice e acefala.
Il segno della inutilità dell’Italia e della assoluta inesistenza del Paese è dato dall’assassinio tragico dei due più importanti patrioti del secolo scorso: Aldo Moro ed Enrico Mattei. La loro morte avrebbe dovuto creare i presupposti per una enorme prova di carattere nazionale. Così non è stato.
Il loro errore fu di credere in un Paese che non esisteva. E che proprio per ciò non poteva fare l’interesse dei suoi abitanti.
L’Italia quindi non “serve” ai suoi abitanti. Forse ad altri. Probabilmente serve ai grandi poteri che oggi detengono il debito pubblico. Grandi capitali che hanno trovato nel nostro Paese il parco buoi perfetto: un paese europeo, bello e gradevole, relativamente stabile e civile, da controllare economicamente attraverso l’indebitamento voluto.
Se un usuraio volesse cercarsi il “cliente perfetto” cercherebbe una meravigliosa e giovane ragazza, vicina, accondiscendente e disponibile. Questa è l’Italia di oggi.
La domanda giusta quindi non è se serve l’Italia ma “a chi” serve?
L’Italia sarebbe potuta servire agli italiani. Non è stato così e lo sarà sempre meno, oggi questa deriva è evidente! Allora a questo punto occorre prendere atto di questo fallimento e procedere verso una forte divisione. Un Nord-est filo-teutonico con Emilia e Romagna. Un Nord Ovest filo francese, con Toscana, Piemonte e Sardegna. Un centro sud Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia e Basilicata.
Infine una Calabria e Sicilia lasciate a se stesse.
La divisione sarà un male, ma sarà un male minore. Poiché esalterà le volontà di questi popoli dai frentani ai lombardi, dai siciliani ai sardi, ai piemontesi. La sussidiarietà aiuterà la responsabilità a tutti i livelli. Del resto non è stata l’Italia dei comuni la più alta espressione di forza nel nostro Paese dopo Roma???

Luciano Luongo
Giornalista professionista


P.S. Questa nota l'aggiungo dopo i commenti.
Personalmente rimango della mia idea. Sono contrario al federalismo di ogni genere, come soluzione italiana al problema della forma di Stato. Gli italiani sono certamente un popolo contraddittorio e storicamente vario, proprio per questo occorre dare loro valori di unità e di senso civico e della comunità Stato, per risolvere i problemi nei quali ci dibattiamo da decenni, valori che sono poi quelli emersi durante la resistenza e che hanno fatto combattere assieme contro il nemico invasore, persone di varia estrazione sociale, culturale, geografica e politica.
Ma è solo la mia idea e non pretendo di convincere nessuno, soprattutto ora che va di moda parlare di federalismo anche nella sinistra.

mercoledì 16 aprile 2008

Piero Calamandrei - "Lo avrai, camerata Kesserling..."

Comincio a prepararmi per il venticinque aprile, anniversario della liberazione. Questo post è anche una memoria di risposta a quanti dopo le elezioni vorrebbero rivedere i libri di scuola e la storia del nostro Paese.

Processato nel 1947 per crimini di Guerra (Fosse Ardeatine, Marzabotto e altre orrende stragi di innocenti), Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, fu condannato a morte. La condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma già nel 1952, in considerazione delle sue "gravissime" condizioni di salute, egli fu messo in libertà. Tornato in patria fu accolto come un eroe e un trionfatore dai circoli neonazisti bavaresi, di cui per altri 8 anni fu attivo sostenitore. Pochi giorni dopo il suo rientro a casa Kesselring ebbe l'impudenza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che - anzi - gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene a erigergli... un monumento.A tale affermazione rispose Piero Calamandrei, con una famosa epigrafe (recante la data del 4.12.1952, ottavo anniversario del sacrificio di Duccio Galimberti), dettata per una lapide "ad ignominia", collocata nell'atrio del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta per l'avvenuta scarcerazione del criminale nazista. L’epigrafe afferma:

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.

Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.

Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per
odio decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.

Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA.

Testo introduttivo a cura dell'ANPI

domenica 13 aprile 2008

IL PRIMATO DELLA POLITICA E' GIUSTO?

Le autocitazioni sono sempre spiacevoli, ma cos'è un blog se non una massiccia autocitazione continuata e aggravata?
In questo giorno di elezioni politiche mi è tornato in mente quanto scrivevo circa 11 anni fa e pubblicato (1997) sul sito giuridico del prof. Giovanni Virga http://www.giust.it/ oggi http://www.lexitalia.it/.
Credo sia sempre attuale, che ne dite?

Riforma della pubblica amministrazione e primato della politica.
In questi ultimi tempi, si sta facendo sempre più frenetica l’attività del legislatore al fine di riformare la pubblica amministrazione.
Qualcuno ha parlato di alluvione legislativa, qualcun altro ha parlato di Babele delle leggi. E così assistiamo a modifiche di modifiche di leggi appena sfornate con provvedimenti bis, ter, quater e via numerando.
Quando è iniziato il diluvio ? Se riflettiamo un attimo con la mente scevra da condizionamenti, ci si rende conto che i problemi sono iniziati proprio quando ci si proponeva di risolvere gli stessi problemi che, però, prima di questa azione pervicacemente autodistruttiva, erano di molto meno gravi.
Per circoscrivere il tema agli enti locali, il legislatore del 1990 aveva emanato una nuova legge sulle autonomie locali e sul procedimento amministrativo (la legge 142 e la legge 241) che, per prime, dopo diversi anni avevano codificato un sistema di separazione dei poteri tra programmazione, indirizzo e gestione; tale sistema, se perseguito coerentemente, avrebbe portato certamente al miglioramento continuo dell’attività amministrativa, istituendo un circolo virtuoso di responsabilità-professionalità dei pubblici funzionari.
Non è dato di sapere se il legislatore degli anni '90 lo abbia fatto con questa intenzione poiché alla separazione dei ruoli avrebbe dovuto conseguire anche il risultato della riduzione delle responsabilità (penali, civili ed amministrative) in capo ai politici del tempo, lasciando loro solo responsabilità politiche sanzionabili solo dagli elettori con il loro voto. E’ certo, però, che da quel momento i funzionari pubblici degli enti locali per la prima volta avrebbero risposto direttamente e da soli del loro operato davanti ai giudici amministrativi, contabili, penali ed anche civili.
Ricordo ancora il presidente della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti che in un convegno ebbe a dire che non ci sarebbe stato più "l’ombrello dei politici" (sic!) a tutelare i dipendenti.
Successivamente, il legislatore ha proceduto incoerentemente sulla strada della separazione dei poteri con provvedimenti a volte ambigui, a volte contraddittori.
I primi ad essere interessati da questa schizofrenica attività sono stati i segretari comunali, e spesso in questi ultimi tempi ci siamo chiesti del perché di tale accanimento contro una categoria che, peraltro, aveva sempre dato prove non solo di alta professionalità, ma anche di responsabilità e senso del dovere. In realtà il disegno riguarda, come vedremo tutta la pubblica amministrazione.
E siamo arrivati alla questione della dirigenza e, più precisamente, alla questione della nomina dei dirigenti.
Sull’argomento ci sono due scuole di pensiero.
La prima afferma che gli incarichi devono essere affidati con metodi concorsuali e criteri di professionalità che premiano i meriti dei migliori, salva la possibilità di revoca in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, previo l’utilizzo di neutrali sistemi di valutazione.
La seconda sostiene che gli incarichi di dirigenza sono affidati dagli organi politici sulla base dell’ intuitu personae, sono dunque di natura fiduciaria poiché l’organo politico elettivo ha un programma da rispettare che lo impegna verso i suoi elettori e la maggiore garanzia di realizzazione sarebbe offerta dal preporre agli incarichi di responsabilità persone di fiducia dell’eletto (da notare in argomento una considerazione che credo finora, nessuno abbia fatto, perché nominare intuitu personae il segretario comunale e privarlo poi da tutte le attività amministrative gestionali -salvo il caso della contestuale nomina a direttore generale- se è vero che la nomina fiduciaria si giustifica con la realizzazione del programma?).
La tesi della nomina fiduciaria, comunque, non ci sembra da condividere non tanto perché non possa funzionare o non sia un sistema realizzabile anche nel nostro paese (il prof. Stelio Valentini, in un recente convegno a Siena sui segretari comunali, ha ricordato che non bisogna mai dimenticare che nei paesi anglosassoni abitano, appunto, gli anglosassoni e non gli italiani).
Questo sistema potrebbe anche funzionare, però con una serie di modificazioni sostanziali.
Anzitutto, occorrerebbe rinunciare alla separazione dei ruoli tra politica e gestione che è inconciliabile con la nomina fiduciaria del dirigente da parte del politico (lo ha ricordato sempre il prof. S.Valentini). Credo che sia sotto gli occhi di tutti l’incongruenza madornale di un dirigente nominato fiduciariamente che poi non faccia di tutto per accontentare il suo amministratore politico anche nelle scelte gestionali, scelte magari non proprio tecnicamente ineccepibili.
E’ vero che il governo, tramite i suoi esponenti, ha sempre affermato che questo sistema fa affidamento sul senso di responsabilità degli organi politici, ma con questo vogliamo dimenticarci completamente il passato e la provenienza di certi uomini politici ?
La natura umana è debole, come sappiamo tutti, è per questo che occorre trovare delle garanzie che non portino il sistema ad aberrazioni devastanti.
In effetti, la separazione dei ruoli è una sacrosanta intuizione che sarebbe veramente la giusta garanzia del miglioramento della qualità dell’attività amministrativa (si veda sull’argomento il bellissimo e chiarissimo saggio di Carlo Saffioti "Politica e gestione. Distinguere i ruoli a garanzia della qualità dell’attività amministrativa" in Rivista del Personale dell’Ente locale nov.dic. 1998, p.781) e, quindi, tale distinzione è irrinunciabile per una giusta riforma della pubblica amministrazione.
Del resto anche Luigi Einaudi, in occasione di un discorso sulla riforma della giustizia fiscale, aveva affermato che non ci poteva essere una vera equità fiscale se i funzionari pubblici non fossero stati preparati professionalmente, indipendenti e al servizio dei cittadini. L’indipendenza del funzionario è quindi un bene da difendere perché è garanzia che la sua professionalità si esplicherà in modo obiettivo per il bene di tutti i cittadini e non solo per la parte politica temporaneamente al potere.
Insomma o si crede al principio di separazione o si crede all’incarico fiduciario. Il legislatore deve scegliere, è in gioco il destino della pubblica amministrazione.
Altrimenti, si è autorizzati a pensare che ci sia un trucco.
E il trucco è anche semplice da scoprire: la separazione dei ruoli serve ai politici a non avere dirette responsabilità da difendere davanti alle corti di giustizia, nello stesso tempo la politica è protagonista in tutt’e due i ruoli, sia di programma sia di gestione, conservandosi una sorta di potere vitae necisque sui dirigenti e realizzando in tal modo quel primato della politica tanto caro a coloro che governavano ante operazione mani pulite (ormai caduta nell’oblio).
Nell’ultimo numero della rivista Micromega, lo scrittore Andrea Camilleri ricorda come, secondo un politologo francese, l’obiettivo della sinistra sia quello di realizzare effettivamente la libertà, l’uguaglianza ed il diritto e che la sinistra al potere farebbe meglio ad operare per la riqualificazione della politica piuttosto che per il primato di essa che non deve essere l’obiettivo di una società civile.
Mi permetto, infine, di richiamare, sommessamente, un verso del Sommo Poeta a beneficio di quanti, studiosi e cultori del diritto oggi, a giustificazione di irrazionali scelte del legislatore, affermano che il mondo è cambiato e bisogna comunque adeguarsi: "Considerate la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza".
dal sito http://www.lexitalia.it/ luglio 1997

venerdì 11 aprile 2008

IL FUTURO NON E' PIU' QUELLO DI UNA VOLTA.

La frase del titolo del post non è mia.
Mi era stata venduta come un graffito della stazione di Roma, scritto da un'anonima mano giovane e disperata.
Vorrebbe dire che il futuro dei giovani è ipotecato, non è più roseo e sicuro, anzi disperato e tragico. E una società senza futuro è una società morta.
In realtà la scritta compare su diversi muri in Italia, anche a Milano...

Poi, in rete, ho scoperto che è anche il titolo di una raccolta di poesie di un grande poeta americano: Mark Strand.
E questa è una sua bellissima poesia.

A VACANZA DAVVERO FINITA
Sarà strano
sapere infine che non si poteva andare avanti all’infinito,
con quella vocina a ripeterci sempre
nulla cambierà,
e ricordare anche,
perchè allora sarà tutto finito, come stavano
le cose, e come abbiamo buttato via il tempo, come se
non ci fosse nulla da fare,
quando, in un lampo
il clima cambiò, e l’aria lieve si fece
d’una pesantezza insopportabile, il vento straordinariamente
taciturno
e le nostre città cenere,
e sapere pure
ciò che non avevamo mai sospettato, che era qualcosa come
l’estate
al massimo della magnificenza tranne che le notti erano più
calde
e le nubi paravano rilucere,
e perfino allora,
perchè non saremo molto cambiati, chiederci
che ne sarà delle cose, e chi rimarrà a ripetere
tutto daccapo,
e in qualche modo cercare,
ma tuttora incapaci, di sapere cosa davvero
sia andato storto del tutto, o come mai
stiamo morendo.

giovedì 10 aprile 2008

Per la serie "persone speciali": Ettore Troilo


Tutti i miei amici sanno come mi sia molto caro (per formazione culturale e politica ed anche per storia familiare) il tema della Resistenza e dell'antifascismo sul quale si fondano i pilastri della nostra Repubblica.
Oggi più che mai, visto quello che potrebbe attenderci anche in termini di revisionismo storico, credo che sia giusto non dimenticare e ricordare a tutti i grandi personaggi di quel periodo che è stato chiamato, non a caso, come il secondo risorgimento italiano.
Dalla lettura della breve biografia dell'uomo capirete come non sia stato facile per uomini di questo stampo fare delle scelte così importanti, eppure le hanno fatte, con grande dignità e sicurezza. Che dire? Si possono fare confronti con gli uomini e donne pubblici di questo periodo storico? Non credo. Siamo a Giganti contro nani e ballerine.
Ringrazio il mio amico giornalista L.L. per avermi inviato questa informazione completa e il
sito internet della Majella Orientale e Torricella Peligna (paesino dell'Abruzzo famoso -anche e non solo- per aver dato i natali alla famiglia del grande scrittore italo-americano John Fante).


Ettore Troilo nasce a TORRICELLA PELIGNA, un piccolo paese dell’alto chietino, il 10 aprile 1898. Il padre è il medico condotto del paese, uomo di rigidi principi morali, conservatore per temperamento ma rispettoso delle idee altrui, onesto e generoso nella sua professione. A 14 anni perde la madre ed è, per le tre sorelle,
affettuoso e premuroso fratello maggiore. Studia in collegio, a Lanciano, a Sulmona e vive le prime esperienze culturali e politiche avvicinandosi d’istinto alle idee socialiste. A sedici anni tiene i primi comizi: a Torricella, a Montenero, a Fallascoso.
A novembre del 1916, diciottenne, parte volontario per la Grande Guerra: tre anni durante i quali le sue idee politiche acquistano concretezza.
Dopo la guerra si laurea in legge, nel luglio del 1922, ed apre un piccolo studio a Milano. Conosce Turati, e diviene uno dei suoi più stretti collaboratori. E’ Turati che lo presenta a Roma, a Giacomo MATTEOTTI, della cui segreteria Troilo è un assiduo fino all’assassinio dell’esponente socialista.
Gli anni che vanno dal 1924 al 1943 sono gli anni della professione e della famiglia.
Il 9 e 10 settembre 1943 partecipa alla difesa di Roma. Occupata la città dai tedeschi, è ricercato attivamente dai nazifascisti. Si nasconde presso amici politici e alla fine del mese riesce a fuggire ed a raggiungere l’Abruzzo. Appena arrivato al suo paese, Torricella, ha l’amara sorpresa dell’arrivo delle SS tedesche. E’ catturato e sta per essere deportato, ma riesce a fuggire. Immediatamente inizia l’opera di sabotaggio e di resistenza, riunisce qualche decina di persone, passa le linee nemiche e raggiunge gli alleati. Si forma così, tra l’iniziale diffidenza degli anglo-americani, quella che sarà la più importante formazione partigiana dell’Italia centro-meridionale, la "Brigata Maiella". Troilo ne è il comandante. La data della sua costituzione è il mese di dicembre 1943.
I partigiani abruzzesi, però, non si fermarono quando ebbero liberato la loro terra ma continuarono a combattere: nelle marche, in Romagna, in Emilia, lasciando sul campo 55 caduti, fino ad entrare a Bologna, primi tra i combattenti italiani, alla vigilia dell’insurrezione del 23 aprile.
In una terra già povera come l’Abruzzo, la guerra ha lasciato rovine e miseria senza fine, Troilo non torna alla sua professione come molti altri alla fine delle ostilità. Rimanda la famiglia a Roma e resta, come ispettore generale del ministero per l’Assistenza postbellica, ad alleviare le sofferenze dei suoi conterranei.
Nel gennaio del 1946 il CLN deve sostituire alla prefettura di Milano Riccardo Lombardi, che entra a far parte del governo. Troilo accetta senza esitare il delicato incarico che gli viene offerto e per due anni regge quella prefettura in condizioni difficilissime.
Alla fine del 1947 la prefettura di Milano è l’ultima trincea della Resistenza e De Gasperi e Scelba decidono con fredda determinazione di farla cadere. La nomina della sostituzione di Troilo giunge a Milano come una bomba, alla vigilia di un inverno che si preannuncia duro e difficile. Si dimettono le amministrazioni democratiche di Milano, e della grande maggioranza dei Comuni della provincia; i sindacati proclamano lo sciopero generale; i partigiani armati occupano la prefettura.
Sono per Troilo i giorni più amari. E’ il momento delle decisioni drammatiche. La sua scelta, politicamente, è la sola possibile: cedere, non provocare uno scontro che sarebbe fatale per la sinistra, nelle condizioni nazionali ed internazionale del 1947.
Nella logica del "promuovere per rimuovere" il governo nomina Troilo ministro plenipotenziario presso l’ONU. Troilo declina l’incarico e, contemporaneamente, si dimette da prefetto di prima classe. Torna alla sua professione: a 50 anni ricomincia da zero, senza una lira in tasca, senza certezza per il futuro.
Il resto della sua vita è una storia come tante altre: con l’amarezza di chi vede cadere troppi ideali, ma, anche, con la serenità degli uomini maturi, dei compagni consapevoli, che sanno guardare, di là dalle vicende personali, al futuro in cui altri vivranno, che sarà migliore nella misura in cui gli uomini saranno capaci di renderlo migliore.
Ettore Troilo è morto a Roma il 30 giugno 1974. Riposa nel cimitero della sua Torricella .

mercoledì 9 aprile 2008

HELP THE WORLD !



Linkin Park - What I've done (Quel che ho fatto)

Musica, parole e video struggenti!

martedì 1 aprile 2008

A te, sostanza dei giorni miei...

Oggi primo aprile non mi va di parlare di cose serie e noiose.
Domenica ho visto Report sulle truffe di contributi pubblici in Calabria e mi viene solo da dire parolacce, ieri sera ho visto un pezzo di Annozero "Un Paese in bilico" e mi sono agitato tanto, stamani, all'alba, in auto, ho ascoltato per radio questa canzone di Jovanotti e mi sono commosso, alla mia veneranda età!
Trovo che ha delle parole stupende.
La dedico a mia moglie e a tutte le persone innamorate.
Godetevi la primavera che è la stagione giusta per l'amore.
Un abbraccio a tutti.