venerdì 11 gennaio 2008

La libertà non ha prezzo. Primo capitolo.


Era bella la valle in quella primavera del 1944, si stava per risvegliare la natura e il disgelo avrebbe reso verdi i pascoli in montagna, chi poteva immaginare che di lì qualche giorno si sarebbe sparso tutto quel sangue innocente?
Mi chiamo Sergio Simonetti, sono un giovane di 23 anni, originario di Cosenza, in Calabria. Le vicende della vita e della guerra mi hanno portato in questa terra piemontese, dove ora riposo per sempre.
Tutto cominciò nella primavera del 1939, frequentavo la quarta magistrale, l'ultimo anno e poi il diploma. Dopo avrei voluto iscrivermi all'università per diventare professore di lingue o direttore didattico. Mi sarebbe piaciuto tanto insegnare, mi affascinava il ruolo del maestro, di colui che offriva il suo sapere alle giovani generazioni per aiutarli a diventare futuri cittadini, cittadini modello, e anche fascisti.
Sì, perchè tutti noi ragazzi eravamo contenti e fieri di essere fascisti e credevamo che questa nuova era avrebbe cambiato in meglio la società italiana e tutti gli italiani. Anche a casa mia la fede fascista era cosa naturale e si respirava nell'aria.
Mio padre era stato un ufficiale degli arditi durante la prima guerra mondiale, aveva contribuito a fermare tedeschi e austriaci sul Piave, era stato a Fiume con Gabriele D'Annunzio e poi aveva fatto la marcia su Roma nel 1922. Nel 1939 aveva ricevuto l'onorificenza della sciarpa littorio con la quale venivano insigniti solo pochissimi gerarchi fascisti.
Niente di più normale che noi ragazzi, come gran parte degli italiani del resto, fossimo imbevuti dalla punta dei piedi ai capelli, di tutta la dottrina fascista possibile. Partecipavamo a tutte le adunanze con sincero trasporto ed entusiasmo, le cerimonie e le celebrazioni che si succedevano nell'anno ci vedevano partecipare come studenti fascisti entusiasti di esserlo. A noi sembrava naturale che l'esaltazione dello spirito patriottico e nazionalfascista fosse portata sempre ai massimi livelli.Non era più un gioco però, come quando eravamo dei piccoli Balilla e ci distribuivano i fuciletti in legno per farci assomigliare a dei veri soldatini. No, ora ci sentivamo dei veri guerrieri pronti per andare in guerra.
Anzi la guerra la desideravamo come quando leggevamo i fumetti di Cino e Franco (che erano permessi anche se sapevamo che erano stati ideati da un americano), e sognavamo di ripercorrere le loro stesse avventure in Africa.
Se avessimo saputo come sarebbe andata a finire, non ci saremmo neppure fatti sfiorare da quei pensieri bellicosi. Avrei capito solo dopo pochi mesi dopo che la guerra era una brutta bestia. Una bestia capace di scatenere gli istinti più bassi e più feroci degli esseri umani. Le cose, gli avvenimenti, i fatti che ho visto con i miei occhi non sarò mai in grado di raccontarli fino in fondo, nemmeno ora che vi guardo dall'alto, ma voglio narrarvi lo stesso la mia storia, chissà possa servire a qualche giovane indeciso sul futuro della sua vita.
Il mio migliore amico si chiamava Ernesto Genovesi, era un giovane serio e senza grilli per la testa. Mi era subito risultato simpatico a scuola, fin dal primo giorno. Avevamo fatto assieme tutte le superiori ed entrambi studiavamo con profitto.
Ernesto era senza i genitori, o meglio li aveva i genitori, ma era stato praticamente abbandonato da loro che si erano separati quando lui era bambino, perciò ora abitava da una zia che non si era mai sposata e, naturalmente non aveva figli. La zia era una maestra elementare molto stimata e conosciuta per la sua fermezza nell'imporre la disciplina e lo studio, ma a conoscerla bene era una persona dolce e premurosa. Senza di lei Ernesto non sarebbe stato il ragazzo serio e responsabile che era, dopo quello che aveva passato.
Il giorno che Ernesto si fece coraggio e mi disse che si era innamorato di mia sorella Mara mi prese quasi un colpo apoplettico. Ma come, io ti porto in casa dei miei a studiare, a giocare e a fare merenda e tu mi dai questa coltellata ? Scoprivo di essere geloso di Mara. Mia sorella, anzi la mia sorellina aveva solo 14 anni, noi ne avevamo 18, ci sentivamo uomini e lei era sola una bambina indifesa.
Poi pensai subito che Ernesto avrebbe anche potuto non dirmelo, era stato leale invece. Si era comportato da vero uomo e si vedeva che era sincero perché ogni volta che Mara ci portava la merenda in camera, mentre studiavamo per gli esami di stato, gli brillavano gli occhi e si agitava tutto. Anche Mara non era indifferente, lo scrutava di sottecchi e poi scappava con una risatina.
Da quel giorno Ernesto diventò per me non solo il mio migliore amico, ma anche un altro fratello (in famiglia eravamo tre fratelli e quattro sorelle ed io ero il più grande).
Insomma, andò a finire che fui io stesso a parlarne a Mara perché Ernesto era troppo imbarazzato e temeva una risposta negativa. Invece, Mara era già cotta da tempo e così lo dicemmo tutt'e tre insieme ai nostri genitori. Mio padre ridacchiava sotto i baffi, ma la mamma era pensierosa, poi dissero entrambi: "Se sono rose fioriranno, per il momento Mara è troppo piccola, però potete frequentarvi, qui, in casa".
Una musica celestiale non avrebbe potuto avere migliore effetto su di loro che quelle parole. Quando stavano insieme Ernesto e Mara con i loro ridenti occhi azzurri e i loro volti splendidi di adoloscenti, sembravano l'immagine stessa dell'amore felice, niente nessuno li avrebbe mai più separati, nemmeno la guerra che sarebbe scoppiata di lì a poco.
Venne la primavera, vennero gli esami di stato che superammo senza alcuna fatica. Ernesto sembrava rinfrancato dalla presenza di Mara, anche se poteva solo tenergli la mano e abbracciarla di nascosto e fugacemente. L'estate la passammo a fare progetti all'ombra delle querce del Pisicchio (una ridente località di campagna dove ci trasferivamo armi e bagagli con tutta la famiglia all'inizio di ogni estate). Che belle quelle sere d'estate e scrutare il cielo notturno per fare a gara a chi vedesse per primo una stella cadente. Ormai avevamo fatto una bella compagnia di ragazzi e non escludevamo mai nemmeno Franco che era il più piccolo della compagnia e aveva solo due anni. Le giornate volavano tra una passeggiata, una mangiata di pesche, una visita ai nostri vicini di fattoria, una gita al paese. Arrivò settembre e cominciammo a pensare all'iscrizione all'Università. Ci attendevano Napoli, Bari o Messina, le tre città dove risiedevano le università più vicine.
La situazione internazionale però nel frattempo era precipitata, il 1 settembre i tedeschi invadevano la Polonia e le notizie che arrivavano ci dicevano che in pochi giorni le truppe dei nostri alleati erano arrivate al confine con la Russia. I giornali non raccontavano delle stragi di ebrei nel ghetto di Varsavia e dei bombardamenti con gli stukas sulle popolazioni civili inermi. Per noi era una cosa meravigliosa ed eroica, la guerra. Un confronto leale tra guerrieri dove i morti non si vedevano nemmeno oppure erano sempre gli altri, i nemici, i cattivi.
Comunque, ci eravamo iscritti all'università e avremmo studiato ancora, poi se scoppiava la guerra ed eravamo sicuri che sarebbe scoppiata, saremmo andati alla scuola allievi ufficiali e saremmo partiti volontari. Lo avevamo giurato Ernesto ed io , come avevano fatto Cino e Franco nei fumetti, promettendoci che la nostra amicizia sarebbe stata eterna e che saremmo stati sempre vicini per aiutarci l'un l'altro.
La guerra ci fu e noi eravamo trepidanti, felici proprio no, avevamo capito che non era più un gioco, si cominciava a sentire dei morti, dei bombardamenti, ma era una prova che dovevamo affrontare con coraggio, come avevano fatto i nostri padri. Anche noi saremmo diventati veri uomini con il fucile in mano e saremmo ritornati da vincitori come loro.
Fino a quel momento non avevo mai sentito parlare di socialismo, di uguaglianza, di democrazia. Il fascismo mi sembrava l'unica forma di politica possibile e giusta nella società moderna. Non avevo coscienza delle barbarie e delle ingiustizie che il fascismo aveva commesso. Le purghe, le manganellate e le sopraffazioni non erano arrivate ai miei occhi ed ai miei orecchi e mio padre non mi aveva mai raccontato cosa era successo in Italia nei primi dieci anni del fascismo. In Calabria poi tutto era molto diverso dal resto d'Italia dove c'erano le fabbriche e gli operai. I contadini non avevano mai protestato ed anzi erano anche loro tutti fascisti.

Così circa un mese dopo la dichiarazione di guerra del 10 giugno, Ernesto ed io partimmo per la scuola militare.

(Segue)

10 commenti:

Nikita ha detto...

Ottimo inizio...
direi che resterò in attesa dei capitoli successivi!

Mai visto il film di Ken Loach "il vento che accarezza l'erba?" Racconta della guerra d'indipendenza dell'irlanda nel 1919-1921. E' un film da vedere.

Nikita

Nadia ha detto...

Ciao rob...finalmente unpò di tranquillità..Un saluto , un abbraccio e a presto :-)

Anonimo ha detto...

comincia bene...attendo il resto!

Kniendich ha detto...

Storie che mettono i brividi, soprattutto perchè ancorate a tragedie realmente successe e passate sulla carne di molti... appare sempre più evidente la voglia di non dimenticare e questo post ne è un chiaro e riuscito tentativo.. attendo la seconda parte.
Ottimo lavoro Rob..

Lara ha detto...

Ciao Rob, sono in fila anch'io per la seconda parte.
La prima è bellissima.

JANAS ha detto...

CASPITA!!! NON PENSAVO DI AVERTI TRASMESSO TUTTA QUESTA ENERGIA!!:)

lo vedi che lo yoga fa bene...

rob ha detto...

Grazie per il feedback, siete molto carini, anche se non credo di meritare.
Purtroppo, le idee ci sarebbero e la storia sarebbe bellissima e struggente, solo che io non ho grandi capacità di scrittura.
Ci proverò comunque, ho bisogno di tempo...

Eclisse di luce ha detto...

Caro Rob, sono passata per dirti che non mi sono dimentica di te. Tanti salutoni e abbracci.

rob ha detto...

Eclisse di luce: ciao Rossana, neanche io, solo ho avuto molto da fare tra la fine e l'inizio dell'anno, ma verrò a trovarti. Un abbraccio.

Eclisse di luce ha detto...

Caro Rob, sei sempre il benvenuto nel mio blog.
Allora ti aspettoo!!!!
Ti abbraccio.