martedì 29 gennaio 2008

Qual è la destra e qual è la sinistra ? (Giorgio Gaber)


Credo che questione fondamentale, di questi tempi, sia per noi prossimi elettori di prossime elezioni anticipate capire chi vuole il bene comune, cioè il progresso e la crescita del nostro Paese.
Esercizio difficilissimo, perché ormai sia da destra che da sinistra sono bravissimi nella principale attività dei politici nostrani: “l’intortamento”, soprattutto in vista delle elezioni.
Per sgombrare il campo da ogni equivoco, vi dico subito che io concordo con chi dice che bisogna andare subito al voto. Il Paese ha bisogno di un Governo stabile e degno di questo nome, cioè che governi, prenda decisioni e stabilisca una rotta precisa.
Il punto critico di questa posizione è che la legge elettorale è davvero un insulto alla nostra intelligenza, ma soprattutto al principio democratico di rappresentanza.
Non modificarla significa non tenere in nessun conto i principi basilari della democrazia.
Lo diceva ieri sera Luca Cordero di Montezemolo, Presidente uscente di Confindustria, all’assemblea degli industriali di Pordenone.
Diceva anche che questo Paese per crescere ha bisogno:
a) di un veloce ricambio della classe dirigente;
b) di una politica energetica autonoma dalle multinazionali del petrolio;
c) di investimenti nella ricerca scientifica e nella innovazione tecnologica;
d) di svecchiare le Università, razionalizzando le sedi e i corsi di studio, facendo accorrere i cervelli buoni;
e) di privilegiare il merito a scuola, al lavoro, nella vita di tutti i giorni;
f) di redistribuzione dei redditi e di politica salariale legata ai risultati conseguiti nel lavoro.
g) di regole e senso civico;
Sono d’accordo su tutto e credo che noi elettori, a prescindere dalle posizioni preconcette e contrapposte (destra/sinistra) che ormai sono assolutamente insignificanti, dovremmo puntare su chi ci offrirà questi obiettivi, semplici e normali in altri paesi, quanto ormai desueti, dimenticati ed ostici in questa nostra Italia.
P.S. Non credo che, almeno per il momento, nessuno dei politici in campo ci offrirà mai questo programma a cominciare dal punto a)!

domenica 27 gennaio 2008

La Libertà non ha prezzo. 3 Capitolo, il diario di Ernesto.


14 settembre 1943.
Scrivo rinchiuso nella tradotta, che altro non è che un vagone merci piombato.
Siamo almeno un centinaio, se non di più, e credo ci siano almeno una quindicina di vagoni pieni di commilitoni, su questo treno. I tedeschi ci hanno preso a tradimento, questo è sicuro. Se avessimo avuto il tempo di capire, se qualcuno ci avesse parlato chiaro, se i nostri comandanti non fossero scappati prima, forse avremmo potuto reagire in qualche modo. Non era questo quello che ci aspettavamo da loro. Il discorso di Badoglio io non l'ho ascoltato, ma mi hanno detto che, dopo aver annunziato che era stato firmato un armistizio con gli alleati anglo-americani, ha anche detto che le forze italiane avrebbero dovuto reagire agli eventuali attacchi da "qualsiasi provenienza".
Ma di cosa stava parlando? La verità è che ci hanno lasciato allo sbaraglio dei tedeschi, i quali erano già preparati, avevano già deciso cosa fare.
Infatti, sono venuti al caposaldo di Fiume mentre io non c'ero ed hanno catturato tutti i miei soldati. Io ero andato a cena da amici civili italiani e quando sono ritornato non ho trovato nessuno. In quel momento ho realizzato cosa era successo.
da due giorni vedevamo alcune staffette tedesche che arrivavano vicino al cancello del caposaldo e poi tornavano indietro con i loro sidecar. Stavano valutando la consistenza della nostra forza.
Avrei potuto anche far finta di nulla e sparire, tornare a casa, dismettere la divisa che avevo tanto agognato assieme a Sergio. Invece, andai a chiedere spiegazioni al collega ufficiale tedesco presso il loro campo e dissi che volevo seguire i miei soldati dovunque fossero. L'onore premeva, quel senso dell'onore che era stato inculcato a me e a Sergio in tanti anni di scuola e di racconti familiari. Sergio, chissà dov'era in quel momento? Ci eravamo lasciati con poche parole ed avevamo scarse notizie l'uno dell'altro in quei mesi che erano trascorsi, quasi nella routine di una guerra strana, almeno sul fronte jugoslavo. Qualche scaramuccia con i partigiani di Tito e niente di più, mentre i tedeschi che erano arrivati da poco ci accusavano di essere poco incisivi. La verità è che noi volevamo solo proteggere i nostri confini, non volevamo conquistare nulla e nessuno. Solo una volta avevo visto la morte in faccia, quando i tedeschi avevano appeso a testa in giù tre "banditen", così li chiamavano loro, sulla piazza del paese e la cosa non mi era piaciuta per niente.
Eravamo chiusi nel vagone da più di due giorni senza mangiare e con pochissima acqua. L'ultima acqua che avevamo potuto prendere alla stazione di Verona, quando ci avevano scendere dal treno, sorvegliati a vista. C'era una fontanella sul marciapiedi della stazione e molte donne venivano lì per aiutarci in qualche modo. Chissà forse speravano di vedere i loro figli partiti anche loro come noi per la guerra. Cercavano di prendere i nostri bigliettini che lasciavamo cadere senza farcene accorgere dalle SS, per poi recapitarli alle nostre famiglie. Qualcuno era anche riuscito a fuggire nascosto dietro le loro vesti.
Alla stazione di Verona che ho assistito ad un episodio terribile che poi mi rimase in testa per tutta la vita. Un soldato, non ne conoscevo il nome perchè non era dei miei, si era soffermato a bere più degli altri e un "crucco" -ormai li chiamavamo così- lo aveva apostrofato in tedesco: "schnell, schnell, schweinhund!!" spingendolo in là con il suo mitra. Il soldato aveva continuato a bere e il crucco aveva semplicemente lasciato partire una scarica di colpi, uccidendolo.
Siamo rimasti senza parole, non osavamo fare nulla.
SCredo che in quel momento abbiamo sentito tutto il peso della nostra vergogna, di colpo è stato come se mi fossero passati dieci anni di vita. Mi sono sentito vecchio, impotente e vigliacco.
Siamo saliti sul treno in silenzio e per tutto il giorno eravamo come annichiliti. Saremmo mai più tornati da quel viaggio?
Ora siamo qui, in mezzo ai nostri escrementi, ad aspettare l'arrivo. Si arriverà da qualche parte prima o poi.
18 settembre 1943. Ci siamo, ci hanno fatto scendere ed ora siamo rinchiusi in un campo che si chiama Stalag XB/350. Siamo riusciti a sapere che si trova a Sandbostel-Bremervorde, nel nord della Germania e, sempre da quelli che sono già internati, abbiamo saputo che si tratta solo di un campo di transito. La voce che corre è che ci porteranno in Polonia. Inoltre, il comandante del campo ci ha comunicato con l'ausilio di un interprete, che non siamo considerati prigionieri di guerra, in quanto traditori, ma solo internati militari, IMI (Italienisch Militar-Internierten) senza protezione della CICR (la Croce Rossa Internazionale)e senza ogni garanzia giuridica della convenzione di Ginevra, dunque eravamo avvisati, chiunque avrebbe tentato di fuggire sarebbe stato passato per le armi senza pietà.
Per tutti coloro che invece avessero dichiarato la loro volontà di tornare a combattere gli alleati sotto la bandiera della Repubblica sociale e l'invito era rivolto soprattutto a noi ufficiali, ci sarebbe stato un trattamento di favore.
Sarebbero stati immediatamente rifocillati, rivestiti e rispediti su un treno militare in Italia.
Eravamo schierati sul cortile del campo e ci guardavamo negli occhi l'un l'altro e fu come un lampo: il NOOO!!! riecheggiò per delle ore nel campo, nessuno disse di si alla RSI. Avevamo in pochi minuti preso la decisione della vita, dopo anni di fascismo e di condizionamenti psicologici più o meno inconsci, anche quelli di noi più fanatici avevano realizzato e capito in pochi giorni dove stava la verità.
Non potevamo tornare con i fascisti dopo quello che avevamo visto, sentito e vissuto in quei giorni.

mercoledì 23 gennaio 2008

Chi sono e cosa fanno i radioamatori ?

Questa notizia del telegiornale del Canton Ticino mi da' lo spunto per parlarvi dei Radioamatori. Nel mio profilo c'è scritto che amo la radio. In realtà sono proprio un radioamatore, con la patente di radiotelegrafista e la licenza del Ministero e tanto di nominativo internazionale (I5JKI).
Ma chi sono e cosa fanno oggi i Radioamatori? Guardatevi, fino in fondo, il video e commuovetevi come ho fatto io, capirete tutto. Dal salvataggio di Nobile nel 1928 (ricordate la tenda rossa?) in poi non è cambiato nulla. La radio è sempre utile, nonostante internet, telefoni cellulari ecc. ecc.
Ditelo a quanti si lamentano di avere dei vicini dei casa con grandi antenne sul tetto. Non siamo noi che interferiamo con la TV e le nostre onde radio fanno meno male dei telefonini appoggiati alle tempie!

P.S. Claudio l'avevo già collegato diverse volte, ma non lo conoscevo de visu, è proprio simpatico.

martedì 22 gennaio 2008

Elezioni anticipate, con questo sistema elettorale ? No grazie!

Sinceramente sono davvero indignato per quello che sta succedendo.
Non tanto per quello che ha fatto il sig. Mastella, perchè è legittimo non votare per il Governo.
Non tanto perchè possa cadere il Governo, perchè è normale che se un Governo non ha la fiducia della maggioranza del Parlamento non può governare.
Intanto sono indignato perché questo Governo non ha fatto tutte le riforme urgenti e necessarie che aveva promesso.
In primo luogo la riforma del sistema elettorale che è davvero una porcheria, come l'ha definita lo stesso proponente il sig. Calderoli.
Poi la regolazione del conflitto di interessi che non esiste al mondo, forse nemmeno nei paesi del terzo e quarto mondo, salvo i casi dei Paesi governati da dittature.
Poi, sono indignato perchè tanti signori, chiamamoli così, di entrambi gli schieramenti, che sono davvero impresentabili, non si fanno da parte, riconoscendo di essere un peso per la democrazia.
Infine, sono indignato perchè è vero che è stata una grossa sciocchezza non far parlare il Papa alla Sapienza di Roma, anche se il rettore ha sbagliato ad invitarlo ad inaugurare l'anno accademico e a fare la prolusione che spetta ad un professore laico, ma è anche vero che monsignor Bagnasco ieri ha sparato a zero sul Governo (sapendo che era agonizzante) dicendo che il Papa era stato sconsigliato proprio da palazzo Chigi ad andare all'Università.
Insomma nessuno sembra che sappia dove sta di casa la decenza.
Ora speriamo che, prima di andare ad elezioni, ci mettano in condizione di esprimere un voto responsabile e soprattutto vero, cioè che si possano decidere i candidati, altrimenti ci ritroveremo sempre gli stessi intoccabili (ed impresentabili) che ci faranno passare altri cinque anni di sventura.
Auguri a tutti gli italiani.

domenica 20 gennaio 2008

La libertà non ha prezzo. 2 capitolo.



Partimmo una domenica di luglio e faceva un caldo boia. Eravamo bagnati dal sudore, tutti. Si tutti, perché alla stazione avevano voluto accompagnarci tutti, solo Franco era rimasto a casa con una ragazza che aiutava mia madre nella faccende di casa.

Eravamo pieni di pacchi e pacchetti, le valigie, i libri e le cibarie che sarebbero andate a male sicuramente con quel caldo micidiale, se non le avessimo liquidate in poco tempo.

Alla fine, la mamma piangeva, mio padre faceva finta di non essere commosso, ma in cuor suo sapeva cosa volesse dire partire per la guerra avendo provato l’esperienza sul Piave durante la prima. In compenso, Gino, Mara, Grazia, Paola e Geltrude ridevano come matti e si divertivano come se fossero ad una festa di compleanno. Non ho mai capito se lo facevano per renderci meno greve l’addio. Ernesto era visibilmente teso e non sapeva se sarebbe riuscito ad abbracciare e baciare la sua amata. Ci riuscì in un momento in cui tutti noi ragazzi distraemmo mamma e papà.

Il treno partì verso Roma e Civitavecchia, dove saremmo entrati nella Scuola allievi ufficiali di complemento, vedevamo all'orizzonte tutti i parenti che si sbracciavano per salutarci. Non vedevamo l’ora di arrivare.

In treno Ernesto mi disse che mamma gli aveva fatto giurare che saremmo sempre stati assieme per aiutarci a vicenda, ma come sarebbe stato possibile? Certamente non ci avrebbero messo nello stesso reparto, forse nello stesso reggimento, ma non assieme nello stesso reparto.

Arrivammo la sera alle dieci e ci toccò fare qualche chilometro a piedi e con le valigie pesanti in mano prima di arrivare alla nostra metà.

“Chi va là ?” Urlò a pieni polmoni la sentinella appena fuori dalla garitta.

“Siamo due allievi” rispondemmo noi all’unisono come se fossimo stati punti da una vespa.

“Venite avanti e fatevi riconoscere, tirate fuori i documenti. Sergenteee… ci sono due reclute, venga qui alla porta”.

Il sergente, un omone con un paio di baffoni indecenti, ci squadrò dall’alto in basso e poi senza rivolgerci la parola disse, con voce roca, al soldato: “falli passare, digli dove possono andare a cuccia e spiegagli bene che la prossima volta, in questa caserma, si arriva di giorno e non di notte.”

Questo fu il nostro inizio, dopo andò meglio.

Il giorno dopo di buon mattino ci svegliarono e ci dissero che dovevamo presentarci al comandante della scuola.

Andammo subito da lui, eravamo due sbarbatelli di 19 anni, a ripensarci ora.

Eppure con il nostro entusiasmo, o la nostra incoscienza, ci presentammo al maggiore Rinaldi. Ci accolse con benevolenza, fece tutto un discorsetto sui valori militari, sulla storia della scuola, sull’importanza della costanza nello studio, sul fatto che eravamo in guerra e non ci potevamo permettere di perdere tempo perché presto saremmo andati al fronte. A questo punto si disegnò sulla sua fronte una strana ruga espressiva, sembrava una cicatrice.

Ci stava guardando con compassione, probabilmente stava pensando a tutto quello che il futuro ci riservava. In quel momento non ci facemmo caso, ma qualche mese dopo, prima della partenza dalla scuola ci fece un altro discorso che ci fece capire il senso di quello sguardo triste.

I nostri sforzi e l’impegno nell’addestramento, furono ben presto premiati.

Bisognava terminare il corso entro sei mesi, perché la guerra incombeva e noi a gennaio eravamo quasi pronti. Ci dissero che a febbraio del 1941 ci sarebbero stati gli esami finali e poi finalmente avremmo potuto avere il brevetto di ufficiale: Sottotenente per l’esattezza, s.Tenente, come scrivevano tutti per rimarcare il grado di Tenente e nascondere quel “sotto” che ci stava proprio male. Appena avuta la divisa di ufficiale andammo subito dal fotografo per farci fare i ritratti da inviare a casa. Ernesto si fece fare due foto, una con lo sguardo ancora più spavaldo, se possibile, da inviare a Mara con la sua dedica più focosa e un’altra alla zia che gli scriveva ogni settimana anche lei.

Si era fatto crescere il pizzo come Italo Balbo e mostrava dieci anni di più dei suoi vent’anni appena compiuti. Era il gennaio 1941. La guerra cominciava ad essere subito problematica per gli italiani e i nostri alleati erano sempre più insofferenti verso di noi, ma per il momento erano lontani.

Come eravamo felici. Ma felici di cosa? La guerra e i suoi pericoli ancora lontani, noi eravamo diventati ufficiali del regio esercito e le ragazze di Civitavecchia si giravano a guardarci quando passeggiavamo per strada. Che bella vita.

Ma presto vennero i guai, eravamo stati assegnati al 4° reggimento carristi, Ernesto era contento, ma per me non era il massimo. Volevo qualcosa di più ardimentoso, ero o non ero il figlio di un ardito della prima guerra mondiale. In fin dei conti mio padre si era guadagnato anche una medaglia sul fiume Piave, fiume sacro alla Patria come era scritto sui nostri libri di scuola.

Quella croce di bronzo appesa nel salotto di casa all’interno del quadretto che riportava anche la motivazione: “Al tenente degli arditi Giuseppe Simonetti, Comandante di una sezione di lanciafiamme, perché durante un intenso conflitto a fuoco, si slanciava con i suoi uomini muniti di lanciafiamme, contro le trincee nemiche…” mi ritornava sempre alla mente.

Anche io mi volevo distinguere e tornare a casa, dopo la guerra, con le mie medaglie da mostrare ai miei figli e agli amici.

Così dissi ad Ernesto che si stava costituendo un nuovo reparto d’assalto, era il XXX reggimento Genio Guastatori. All’interno di quel reggimento c’era una compagnia, la sesta, che era stata soprannominata “Teste dure” perché formata in gran parte da sardi e che aveva sede proprio a Civitavecchia.

Ernesto mi disse che ero un pazzo a voler fare il guastatore, erano in pratica l’equivalente dei commandos inglesi. Lui li aveva visti mentre si addestravano a fare esplodere chili di dinamite, mentre loro si accucciavano in una buca a pochi metri di distanza, facendo attenzione a non appoggiare il ventre a terra perché la vicinanza e le vibrazioni del terreno potevano causare lesioni interne. Per lui erano proprio matti e non era il caso che noi si dovesse fare per forza gli eroi. Era bastato rinunciare all’Università, partire volontari e fare gli ufficiali. Ma io no, sul punto mi ero davvero incaponito. Per una settimana gli feci il lavaggio del cervello, lo portai persino a parlare con il cap. Lumachi, veterano della prima guerra mondiale, che era il comandante della compagnia. Lumache si disse ben contento di prenderci subito perché erano a corto di effettivi e ci avrebbe dato subito il comando di due plotoni, non prima di un corso accelerato di addestramento perché un comandante doveva saper fare tutto quello che facevano i suoi soldati.

Ernesto alla fine cedette, ma lo vedevo che non era per nulla contento.

Dopo due settimane di addestramento, mi disse che lui non era tagliato per quella vita e che gli dispiaceva molto ma aveva deciso di entrare nella Guardia alla Frontiera (GAF) che erano reparti speciali destinati al presidio ed alla difesa dei confini della Patria, anzi lui disse “dei sacri confini della Patria” per dare più enfasi alla sua decisione. Avemmo una lunga discussione sull’argomento, ma ci lasciammo comunque da amici come sempre. Non gli dissi che mi sembrava un tradimento del suo giuramento a mia madre, perché anche io gli avevo forzato molto la mano e mi sentivo un po’ in colpa nei suoi confronti. Giurammo comunque che ci saremmo tenuti sempre in contatto.

Quella discussione durata una notte intera, credo che servì ad entrambi. Credo che da quel momento le nostre certezze di ragazzi fascisti cominciarono a vacillare. Ernesto cominciava velatamente a dirmi che non era poi così sicuro che fosse giusto invadere dei paesi stranieri e portare morte e distruzione sulle popolazioni, io cercavo di spiegargli cose che lui stesso aveva sentito centinaia di volte dai nostri professori, dai discorsi del duce e dai nostri libri di storia. L’Italia era stata trattata male dai suoi alleati nella prima guerra mondiale, non aveva avuto i giusti riconoscimenti territoriali e nemmeno adeguate colonie in Africa o in altri continenti. Perché Francia e Inghilterra avevano quel vasto impero coloniale e noi no ? Persino l’Olanda aveva le sue colonie. Ma mentre affermavo quegli argomenti, mi venivano in mente altre storie di guerra. In particolare una che mio padre mi aveva raccontato prima di partire in un momento di intimità tra noi.

Fronte del Piave maggio 1918. Si attendeva un’offensiva del nemico che si pensava stesse accumulando truppe e materiale bellico lungo la riva sinistra del Piave. Gli arditi erano accasermati a Meolo a pochi chilometri dal Piave e spesso andavano in missione, nelle notti senza luna, sull’altra sponda, attraversando il fiume o a nuoto oppure su zattere di fortuna. Ma non bastava, occorreva trovare una posizione elevata per installare degli osservatori muniti di binocolo per scrutare le mosse del nemico. Era praticamente in un territorio completamente piatto e a volte anche sotto il livello del mare. Fu così che una squadra di uomini comandata da un suo commilitone si era imbattuta in una casa sperduta dentro una boscaglia nella golena del Piave. Era proprio l’ideale perché aveva tre piani e dal tetto certamente si sarebbe visto oltre l’argine sinistro del fiume.

La casa era ancora abitata da una famiglia di contadini, che aveva osato sfidare l’ordine di evacuazione delle popolazioni dato dal generale Diaz dopo la formazione del fronte del Piave.

Il contadino faceva resistenza all’ordine del tenente italiano di andar via tutti da lì e rispondeva sempre più agitato e in dialetto veneto che non poteva lasciare la casa, tutti i suoi averi, la sua famiglia e le bestie nella stalla, ma il tenente, che era di Roma e capiva pure poco quello che il contadino diceva, spazientito, aveva estratto la sua rivoltella, l’aveva puntata alla testa del contadino e dopo pochi secondi l’aveva freddato, alla presenza della moglie e dei figli. Mio padre non aveva assistito, ma l’episodio gli era stato raccontato da alcuni soldati che erano rimasti disgustati. Lui non aveva fatto commenti con i soldati, ma aveva affrontato il suo collega e gli aveva espresso tutto il suo disgusto. Ma lui aveva risposto che questa era la guerra e che non avrebbe potuto fare altrimenti.

Era vero? Ancora allora, nel momento in cui me lo raccontava, mio padre se lo chiedeva e raccontandomi quel triste episodio di guerra voleva calmare i miei bollori di ragazzo e i miei entusiasmi verso la guerra.

Questa storia, che avevo quasi dimenticato, mi venne in mente mentre parlavo con Ernesto e capì, ancora solo incosciamente, che forse non era il caso di insistere sul valore della guerra e del nostro voler essere eroi, soprattutto in quel frangente in cui noi italiani non difendevamo la Patria, ma semmai eravamo gli oppressori di altri popoli.


Meme, maledetto meme...

Una volta, ero agli inizi del blog, qualche mese fa, scrisse un post sul meme, questo (a me) sconosciuto. Ora ne devo fare un'altro perché a Dama Verde non posso proprio dire di no.
In effetti, è un segno di stima, è sicuramente il segno che qualcuno ti pensa, che sa che ci sei e per questo ti vuole romp... ricordare. Sto scherzando Dama eh...? Io sono una persona ironica e scherzosa, soprattutto dopo quattro anni di frequentazioni e vita in Toscana, ma questo nel mmese non c'era scritto.
Ora veniamo al punto, non prima di aver ringraziato Dama Verde tanto, tanto. Grazie Damina, mi ricorderò di te, stai tranquilla eh eh eh... ;-)

OCTOBER: Loves to chat. Loves those who loves them. Loves to take things at the center. Inner and physical beauty. Lies but doesn’t pretend. Gets angry often. Treats friends importantly. Always making friends. Easily hurt but recovers easily. Daydreamer. Opinionated. Does not care of what others think. Emotional. Decisive. Strong clairvoyance. Loves to travel, the arts and literature. Touchy and easily jealous. Concerned. Loves outdoors. Just and fair. Spendthrift. Easily influenced. Easily loses confidence. Loves children

Ottobre: Ama chiacchierare... ma quando mai, andiamo al dunque!
Ama le persone che lo amano, ci provo ragazzi, mica è semplice sono tanti...
Ama andare al nocciolo delle questioni, si è vero è così, ma center non si scrive centre? (ah sti' americani...)
Bellezza interiore e bel fisico, soprattutto dentro sonotale e quale a Brad, Brad Pitt.
Mente, ma non sa fingere, infatti mi fregano sempre, allora ho deciso che è meglio dire sempre la verità...
Si arrabbia facilmente, era vero fino a dieci anni fa, ora ho imparato ad autocontrollare la mia ira, ma, come Orazio (irasci celerem, tamen ut placabilis essem), facile all'ira, quanto facile a placarmi e al perdono.
Tratta sempre bene gli amici, cerco di fare il possibile
Sta male spesso, ma si riprende facilmente, lo dice anche mia suocera che sono soggetto alle malattie, ma non è assolutamente vero!
Sognatore, quando mi fanno dormire e ultimamente sono in debito di sonno, sogno spesso.
Ostinato, innamorato delle proprie opinioni, non più di altri, ma mi arrendo all'evidenza, ragazzi vivo con quattro donne, devo sopravvivere!
Non si cura di ciò che gli altri pensano, dipende, qualche volta mi fanno stare male (per 2 o 3 minuti, sia chiaro!).
Emotivo, deciso, forte chiaroveggenza, miiiii... tutto vero, come avete fatto a scoprirlo?
Ama viaggiare, l'arte e la letturatura, anche qui avete indovinato.
Attacchi di gelosia? Ma quando mai, forse a vent'anni...
Sulle ultime qualità, diciamo che è vero solo che sono Spendthrift, mia moglie dice che ho le mani bucate...
E ora veniamo al peggio. nominerò solo tre amici, perché sennò mi faccio troppi nemici...
Kniendich, che tanto è già stato nominato;
Orchideablù, e lei sa perché;
Tuttosenzataboo, perchè ne ho perse le tracce da un po'...

Eccovi il link per fare il memese, non senza una considerazione, ma non vi viene in mente che sono tutti espedienti dei bloggers americani per avere più ingressi sui loro siti e noi abbocchiamo come pescetti ???

venerdì 18 gennaio 2008

De Magistris condannato dal CSM


Ad rivum eundem lupus et agnus venerant,
siti compulsi. Superior stabat lupus,
longeque inferior agnus. Tunc fauce improba
latro incitatus iurgii causam intulit;
'Cur' inquit 'turbulentam fecisti mihi
aquam bibenti?' Laniger contra timens
'Qui possum, quaeso, facere quod quereris, lupe?
A te decurrit ad meos haustus liquor'.
Repulsus ille veritatis viribus
'Ante hos sex menses male' ait 'dixisti mihi'.
Respondit agnus 'Equidem natus non eram'.
'Pater hercle tuus' ille inquit 'male dixit mihi';
atque ita correptum lacerat iniusta nece.

Haec propter illos scripta est homines fabula
qui fictis causis innocentes opprimunt.
(FEDRO)

mercoledì 16 gennaio 2008

PER LA SERIE:"UNA SOCIETA' ALLO SBANDO" VA IN ONDA: LE REGOLE NON CI PIACCIONO? LE CAMBIAMO!

("I bari" "The Cardsharps" Caravaggio - 1596 Oil on canvas, 90 x 112 cm Kimbell Art Museum, Forth Worth.)

Oggi funziona così in Italia, grazie forse all'alternanza dei partiti al potere.
Non si governa più nell'interesse di tutti i cittadini, della società, ma nell'interesse dei propri adepti, dei propri sodali, degli accoliti!
D'altra parte, com'era quella regola? Per gli amici le leggi si interpretano (favorevolmente), per gli altri si applicano!
Così se va al potere il centro destra si abrogano determinati reati che interessano qualcuno, se va al potere il centrosinistra si approva un indulto che interessa qualcun altro e tra una leggina (elettorale o no) e un'altra, saltano le regole democratiche e quelle del vivere civile.
Si abroga il delitto di blocco stradale perchè i produttori di latte l'avevano fatta grossa ( e ora tutti possono permettersi di bloccare le strade come e quando vogliono e per qualsiasi prurito senza conseguenze penali), si abroga il reato di affissione di manifesti politici negli spazi elettorali perchè qualcuno era stato condannato a pagere sanzioni milionarie, il reato di vilipendio, di falso in bilancio. Dimenticavo: si tenta di bloccare l'informazione sulle intercettazioni telefoniche, si tenta di fermare la voce libera dei blog ecc. ecc. E quando qualche magistrato si permette di inquisire o, orrore, arrestare qualche rappresentante politico per abuso d'ufficio o altri reati più gravi, si grida, da ambo le parti, allo scontro istituzionale, all'attentato alla democrazia e al (sacrosanto, per loro) primato della politica.
E' normale? In Italia sì, e gli altri Paesi ci ridono dietro...

venerdì 11 gennaio 2008

La libertà non ha prezzo. Primo capitolo.


Era bella la valle in quella primavera del 1944, si stava per risvegliare la natura e il disgelo avrebbe reso verdi i pascoli in montagna, chi poteva immaginare che di lì qualche giorno si sarebbe sparso tutto quel sangue innocente?
Mi chiamo Sergio Simonetti, sono un giovane di 23 anni, originario di Cosenza, in Calabria. Le vicende della vita e della guerra mi hanno portato in questa terra piemontese, dove ora riposo per sempre.
Tutto cominciò nella primavera del 1939, frequentavo la quarta magistrale, l'ultimo anno e poi il diploma. Dopo avrei voluto iscrivermi all'università per diventare professore di lingue o direttore didattico. Mi sarebbe piaciuto tanto insegnare, mi affascinava il ruolo del maestro, di colui che offriva il suo sapere alle giovani generazioni per aiutarli a diventare futuri cittadini, cittadini modello, e anche fascisti.
Sì, perchè tutti noi ragazzi eravamo contenti e fieri di essere fascisti e credevamo che questa nuova era avrebbe cambiato in meglio la società italiana e tutti gli italiani. Anche a casa mia la fede fascista era cosa naturale e si respirava nell'aria.
Mio padre era stato un ufficiale degli arditi durante la prima guerra mondiale, aveva contribuito a fermare tedeschi e austriaci sul Piave, era stato a Fiume con Gabriele D'Annunzio e poi aveva fatto la marcia su Roma nel 1922. Nel 1939 aveva ricevuto l'onorificenza della sciarpa littorio con la quale venivano insigniti solo pochissimi gerarchi fascisti.
Niente di più normale che noi ragazzi, come gran parte degli italiani del resto, fossimo imbevuti dalla punta dei piedi ai capelli, di tutta la dottrina fascista possibile. Partecipavamo a tutte le adunanze con sincero trasporto ed entusiasmo, le cerimonie e le celebrazioni che si succedevano nell'anno ci vedevano partecipare come studenti fascisti entusiasti di esserlo. A noi sembrava naturale che l'esaltazione dello spirito patriottico e nazionalfascista fosse portata sempre ai massimi livelli.Non era più un gioco però, come quando eravamo dei piccoli Balilla e ci distribuivano i fuciletti in legno per farci assomigliare a dei veri soldatini. No, ora ci sentivamo dei veri guerrieri pronti per andare in guerra.
Anzi la guerra la desideravamo come quando leggevamo i fumetti di Cino e Franco (che erano permessi anche se sapevamo che erano stati ideati da un americano), e sognavamo di ripercorrere le loro stesse avventure in Africa.
Se avessimo saputo come sarebbe andata a finire, non ci saremmo neppure fatti sfiorare da quei pensieri bellicosi. Avrei capito solo dopo pochi mesi dopo che la guerra era una brutta bestia. Una bestia capace di scatenere gli istinti più bassi e più feroci degli esseri umani. Le cose, gli avvenimenti, i fatti che ho visto con i miei occhi non sarò mai in grado di raccontarli fino in fondo, nemmeno ora che vi guardo dall'alto, ma voglio narrarvi lo stesso la mia storia, chissà possa servire a qualche giovane indeciso sul futuro della sua vita.
Il mio migliore amico si chiamava Ernesto Genovesi, era un giovane serio e senza grilli per la testa. Mi era subito risultato simpatico a scuola, fin dal primo giorno. Avevamo fatto assieme tutte le superiori ed entrambi studiavamo con profitto.
Ernesto era senza i genitori, o meglio li aveva i genitori, ma era stato praticamente abbandonato da loro che si erano separati quando lui era bambino, perciò ora abitava da una zia che non si era mai sposata e, naturalmente non aveva figli. La zia era una maestra elementare molto stimata e conosciuta per la sua fermezza nell'imporre la disciplina e lo studio, ma a conoscerla bene era una persona dolce e premurosa. Senza di lei Ernesto non sarebbe stato il ragazzo serio e responsabile che era, dopo quello che aveva passato.
Il giorno che Ernesto si fece coraggio e mi disse che si era innamorato di mia sorella Mara mi prese quasi un colpo apoplettico. Ma come, io ti porto in casa dei miei a studiare, a giocare e a fare merenda e tu mi dai questa coltellata ? Scoprivo di essere geloso di Mara. Mia sorella, anzi la mia sorellina aveva solo 14 anni, noi ne avevamo 18, ci sentivamo uomini e lei era sola una bambina indifesa.
Poi pensai subito che Ernesto avrebbe anche potuto non dirmelo, era stato leale invece. Si era comportato da vero uomo e si vedeva che era sincero perché ogni volta che Mara ci portava la merenda in camera, mentre studiavamo per gli esami di stato, gli brillavano gli occhi e si agitava tutto. Anche Mara non era indifferente, lo scrutava di sottecchi e poi scappava con una risatina.
Da quel giorno Ernesto diventò per me non solo il mio migliore amico, ma anche un altro fratello (in famiglia eravamo tre fratelli e quattro sorelle ed io ero il più grande).
Insomma, andò a finire che fui io stesso a parlarne a Mara perché Ernesto era troppo imbarazzato e temeva una risposta negativa. Invece, Mara era già cotta da tempo e così lo dicemmo tutt'e tre insieme ai nostri genitori. Mio padre ridacchiava sotto i baffi, ma la mamma era pensierosa, poi dissero entrambi: "Se sono rose fioriranno, per il momento Mara è troppo piccola, però potete frequentarvi, qui, in casa".
Una musica celestiale non avrebbe potuto avere migliore effetto su di loro che quelle parole. Quando stavano insieme Ernesto e Mara con i loro ridenti occhi azzurri e i loro volti splendidi di adoloscenti, sembravano l'immagine stessa dell'amore felice, niente nessuno li avrebbe mai più separati, nemmeno la guerra che sarebbe scoppiata di lì a poco.
Venne la primavera, vennero gli esami di stato che superammo senza alcuna fatica. Ernesto sembrava rinfrancato dalla presenza di Mara, anche se poteva solo tenergli la mano e abbracciarla di nascosto e fugacemente. L'estate la passammo a fare progetti all'ombra delle querce del Pisicchio (una ridente località di campagna dove ci trasferivamo armi e bagagli con tutta la famiglia all'inizio di ogni estate). Che belle quelle sere d'estate e scrutare il cielo notturno per fare a gara a chi vedesse per primo una stella cadente. Ormai avevamo fatto una bella compagnia di ragazzi e non escludevamo mai nemmeno Franco che era il più piccolo della compagnia e aveva solo due anni. Le giornate volavano tra una passeggiata, una mangiata di pesche, una visita ai nostri vicini di fattoria, una gita al paese. Arrivò settembre e cominciammo a pensare all'iscrizione all'Università. Ci attendevano Napoli, Bari o Messina, le tre città dove risiedevano le università più vicine.
La situazione internazionale però nel frattempo era precipitata, il 1 settembre i tedeschi invadevano la Polonia e le notizie che arrivavano ci dicevano che in pochi giorni le truppe dei nostri alleati erano arrivate al confine con la Russia. I giornali non raccontavano delle stragi di ebrei nel ghetto di Varsavia e dei bombardamenti con gli stukas sulle popolazioni civili inermi. Per noi era una cosa meravigliosa ed eroica, la guerra. Un confronto leale tra guerrieri dove i morti non si vedevano nemmeno oppure erano sempre gli altri, i nemici, i cattivi.
Comunque, ci eravamo iscritti all'università e avremmo studiato ancora, poi se scoppiava la guerra ed eravamo sicuri che sarebbe scoppiata, saremmo andati alla scuola allievi ufficiali e saremmo partiti volontari. Lo avevamo giurato Ernesto ed io , come avevano fatto Cino e Franco nei fumetti, promettendoci che la nostra amicizia sarebbe stata eterna e che saremmo stati sempre vicini per aiutarci l'un l'altro.
La guerra ci fu e noi eravamo trepidanti, felici proprio no, avevamo capito che non era più un gioco, si cominciava a sentire dei morti, dei bombardamenti, ma era una prova che dovevamo affrontare con coraggio, come avevano fatto i nostri padri. Anche noi saremmo diventati veri uomini con il fucile in mano e saremmo ritornati da vincitori come loro.
Fino a quel momento non avevo mai sentito parlare di socialismo, di uguaglianza, di democrazia. Il fascismo mi sembrava l'unica forma di politica possibile e giusta nella società moderna. Non avevo coscienza delle barbarie e delle ingiustizie che il fascismo aveva commesso. Le purghe, le manganellate e le sopraffazioni non erano arrivate ai miei occhi ed ai miei orecchi e mio padre non mi aveva mai raccontato cosa era successo in Italia nei primi dieci anni del fascismo. In Calabria poi tutto era molto diverso dal resto d'Italia dove c'erano le fabbriche e gli operai. I contadini non avevano mai protestato ed anzi erano anche loro tutti fascisti.

Così circa un mese dopo la dichiarazione di guerra del 10 giugno, Ernesto ed io partimmo per la scuola militare.

(Segue)